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Censimento Autovelox: c'è la lista ma mancano le regole. I ricorsi continuano...

Il MIT ha pubblicato l’elenco degli autovelox autorizzati, primo vero censimento nazionale dei dispositivi installati sulle strade italiane. Una svolta che fa chiarezza su quali apparecchi possono multare, ma che non risolve (ed anzi complica) il nodo più controverso, vale a dire l’assenza di una reale omologazione. Morale? I ricorsi continueranno ad arrivare…

Censimento Autovelox

Dal 30 novembre - ve lo raccontavamo qui -  sarebbe scattata la tagliola. E infatti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato l’elenco ufficiale degli autovelox autorizzati, chiudendo il primo, storico censimento nazionale dei dispositivi installati sulle nostre strade. Un passaggio atteso da anni, che mette finalmente ordine in un panorama che dire opaco è dire poco 
La strada però è ancora lunga ed incerta, perché, mentre si chiarisce quali strumenti possono lavorare, resta irrisolto il vero nodo, quello cioè dell’approvazione/omologazione. Ma andiamo con ordine…

Solo gli autovelox registrati possono multare

Alla scadenza dei termini, enti locali, Province, Polizie municipali e forze dell’ordine hanno caricato sulla piattaforma del MIT i dati dei dispositivi presenti sul territorio: marca, modello, matricola, decreto di approvazione o presunta omologazione, posizione chilometrica, direzione di rilevazione. Un lavoro mastodontico, che ha portato alla formazione di un elenco pubblico: da oggi solo i dispositivi inseriti possono accertare le infrazioni. Tutti gli altri devono essere spenti. Se restano attivi e generano verbali, quei verbali sono nulli. La ratio è chiara: trasparenza e uniformità. Guardando ai numeri però, emergono ancor più interrogativi… 

3.625 autovelox censiti: pochissimi

Secondo i primi report Asaps, il MIT ha registrato 3.625 autovelox tra fissi, mobili e sistemi in movimento. Di questi, oltre 3.000 sono gestiti da polizie locali e Province. In testa Milano, Torino e Roma; in fondo Napoli, con appena 8 dispositivi autorizzati. La Polizia Stradale ne controlla altri 586 (inclusi Tutor 3.0 e Sicve), mentre i Carabinieri compaiono con un solo apparecchio. Sulla carta è un passo avanti enorme. Ma basta confrontare il dato con le stime precedenti - circa 11.000 apparecchi installati e 7.000 realmente operativi - per capire che molti dispositivi sono rimasti fuori dalla lista. E questo, inutile girarci intorno, apre la porta a un’ondata di contestazioni.

Il vero problema resta dov’era: l’omologazione

Nonostante alcune amministrazioni locali continuino a far fina di niente, la questione approvazione/omologazione è ormai arcinota, ed è proprio qui che, come si suol dire, casca l’asino. La Cassazione, con la sentenza 10505/2024, è stata chiarissima: una multa è valida solo se l’apparecchio è omologato, perché la semplice approvazione ministeriale non è sufficiente. Eppure, in Italia, una procedura di omologazione vera e propria non esiste. Il Codice della Strada la prevede dal 1993, ma nessun modello di autovelox è mai stato realmente omologato. Tutti i sistemi in uso sono “solo” approvati. Il MIT, per gestire l’emergenza (o meglio, pararsi da eventuali ricorsi), ha emanato una circolare che minimizza la distinzione tra approvazione e omologazione, invitando i prefetti a respingere i ricorsi. Ma, chi mastica un po’ di Diritto lo sa bene,  una circolare resta un atto amministrativo e, pertanto, non può superare una pronuncia della Cassazione, che è invece fonte di diritto. Da qui il suggerimento di molti avvocati: presentare comunque ricorso.  

Quindi?

Il censimento ha avuto il merito di dare una fotografia più nitida - e forse più inquietante - della situazione. Ma il problema principale resta irrisolto dato che l’iscrizione nella lista MIT indica che l’autovelox è sì “autorizzato” per uso, ma non garantisce in alcun modo che sia anche “omologato” secondo gli standard previsti.  Pertanto, finché il MIT non avvierà una procedura di omologazione reale e formalmente corretta, ogni multa potrà essere oggetto di ricorso. E i Comuni, che contano su un gettito di circa 1,5 miliardi l’anno solo per violazioni dei limiti di velocità, rischiano di ritrovarsi nello stesso identico “limbo normativo” di cui in più e più occasioni s’è parlato.

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abcde
Sab, 06/12/2025 - 10:09
Perfetto. Dato che in pratica estorcono soldi in maniera del tutto abusiva e illegale dal 1993 mi voglio augurare che ora l'agenzia delle entrate si renderà disponibile a ridare i soldi che ha indebitamente percepito, in maniera retroattiva, negli ultimi 10 anni, così come pretende dalle assicurazioni e dunque dalla gente, come da vostro altro articolo. Immagino però che la retroattività non sarà valida e/o applicabile, quando tocca ai parassiti pagare.