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Petrucci non chiude i sogni nel cassetto: "Vincere la Dakar? Difficilissimo ma non impossibile"

Il pilota ternano rivive le emozioni del rally più famoso al mondo: "Ho fatto la prima tappa a una media di 145 battiti, poi piano piano mi sono abituato. Peccato per i guasti, non deve più succedere così". Ora il MotoAmerica: "È una esperienza di vita, e anche la Panigale V4 per me è una novità"
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Avevamo salutato Danilo Petrucci prima della partenza per Jeddah, con un Dakar da correre nonostante una caviglia ko. Tre settimane più tardi, Petrux è di nuovo a casa, in condizioni anche peggiori se ci si limita a guardare il bollettino medico. Ma il pilota ternano può leccarsi le ferite di ottimo umore, forte di un discreto piazzamento finale (90esimo assoluto), ma soprattutto di una vittoria di tappa e diversi piazzamenti tra i top di giornata. Sono risultati che permettono a Danilo di guardare al futuro con rinnovate ambizioni, come è emerso nell'intervista al nostro Guido Sassi.

Niente regali
Il Dakar è una gara dura, tra i rally più tosti al mondo. A Petrucci basta guardarsi allo specchio per capirlo. “Prima di partire avevo solo una caviglia rotta. Quella mi è rimasta, ma ho anche una clavicola e un polso slogati. A ogni modo poteva andare molto peggio e devo dire che un po' tutti arrivano alla fine con qualcosa che non è a posto”. Anche i contrattempi non sono mancati. “Sono andato lì per divertirmi, però è vero che un po' tutto si è messo in mezzo per non permettermi di raggiungere il mio obiettivo. I dottori mi dicevano che non era il caso nemmeno di partire, ci sono riuscito ma poi ci si è messa pure la moto a mettermi i bastoni tra le ruote. Dopo quello che è successo nella seconda tappa pensavo davvero che la mia gara era finita lì”. Danilo ci spiega meglio  i guai che hanno compromesso la sua posizione nella generale. “La moto si è spenta nel secondo stage, mi hanno detto che era un fusibile. Ma poi i problemi elettrici sono continuati e non si capiva da dove venivano. Io ho chiesto che si facesse un intervento radicale, tipo rifare l'impianto elettrico, ma mi hanno risposto di no. Ho avuto ancora problemi nella sesta tappa, e nella nona, un altro giorno nel quale avrei potuto fare un ottimo risultato se non si fosse fermata. Alla fine sono intervenuti davvero sulla moto e hanno cambiato l'impianto elettrico, ma ormai mancavano due tappe”.

Aspetti da sistemare
Danilo è rammaricato, seppure con misura. “Sono andato per divertirmi, però mi ha dato fastidio che non mi ascoltassero. I compagni sono stati fantastici e mi hanno dato davvero una mano, anche perché hanno visto che andavo bene. Ma per quanto riguarda l'assistenza...mi sono fatto l'idea che non si aspettassero risultati così buoni e che non ero considerato davvero alla stregua dei piloti ufficiali. Ho sorpreso un po' tutti e si sono trovati con una moto in più da sistemare a fine tappa, ho dato loro un impegno aggiuntivo. Mi sono anche arrabbiato, perché a un certo punto diventa un problema di sicurezza. Mi è scoppiato pure il mono ammortizzatore, dovevo fargli capire che certe cose non si possono prendere alla leggera. Ma era così anche l'anno scorso in MotoGP: non mi ascoltavano molto. Per ora non penso al futuro, ma certe cose, nell'ottica di una nuova partecipazione, vanno sistemate”.

Un pieno di adrenalina e stanchezza
Petrucci, ancora oggi, si sveglia alle quattro del mattino. “Era una delle cose più dure da fare e ormai ho preso quel giro lì. Anche perché non si tratta solo di svegliarsi, poi devi andare in moto con il freddo per tre o quattro ore di trasferimenti, prima di iniziare la speciale. Tutti mi dicevano che il vero Dakar inizia solo alla seconda settimana, e ho capito perché: la seconda settimana non ha niente di diverso dalla prima, eccetto che è la seconda (ride, ndr)!”.
Dopo la prima tappa Danilo era incredulo, dopo la quinta entusiasta: “Per tutta la prima tappa ho avuto battiti a 145, ma per quattro ore, non per quarantacinque minuti come in MotoGP. Ero esausto, ma alla fine del rally ero sceso di molto, sui 110. Vincere la tappa cinque è stato fantastico e ho capito che la velocità non è un problema. Ma per essere competitivi ad altro livello, parlo di podio, servono anni di esperienza. Se non altro, per i rally, non sono vecchio, ho l'età giusta. Ma devo migliorare nella navigazione. Al momento sono contento di avere visto com'è e sì, in un angolino della mia testa ora c'è il sogno di vincerla”.

I complimenti di tutti
Parecchi gli attestati di stima ricevuti. “Con Valentino abbiamo scherzato un po', ma per ora siamo a quel livello, anche se ho visto dell'interesse vero sulla gara. Gli ho proposto la gara in auto: lui è veloce, ma io devo migliorare nella navigazione. Anche Joan Mir era curioso, così come Marquez. Lui secondo me – e gliel'ho detto- per come va con la moto da cross può farla benissimo anche in moto. E credo che Marc potrebbe farsi prendere da una idea del genere”.

L'America
Nei giorni 8 e 9 febbario la superbike mondiale si troverà a Portimao per i test pre stagionali. Ci sarà anche Danilo, con una Ducati Panigale V4 fornita dal team ufficiale Aruba. “È la prima volta che salgo sulla moto in configurazione gara, avevo provato al tempo la Superleggera. Ma so poco di più, a dire il vero non mi ricordo nemmeno bene le date. Mi piace questa nuova filosofia che ho adottato, di andare a correre per divertirmi. Sarà così anche in questo caso. Il progetto MotoAmerica rimane in piedi, perché ho voglia di fare un anno negli Stati Uniti, come esperienza di vita. Lì il regolamento tecnico è simile al mondiale, eccezion fatta per le gomme, che sono Dunlop”. I circuiti saranno piuttosto “ruspanti”, ma di questo Danilo non ha paura. “Con l'esperienza fatta al Dakar non ho più certo paura delle buche” chiosa in una risata.





 

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