Jonathan Rea, non sempre i campioni chiudono in gloria
Il nordirlandese ha salutato le derivate di serie con una stagione sottotono, culminata con un weekend terribile. Ma la sua stella ha brillato come per pochi altri miti della superbike
Jonathan Rea ha commosso tutti nel weekend di Jerez de la Frontera: sulla pista andalusa, dove in passato aveva vinto 2 delle sue 117 gare in superbike e il suo primo titolo tra le derivate di serie, è caduto malamente sabato, per poi terminare nella ghiaia anche la gara di domenica mattina. Colpa di un incidente con Gardner che lo ha costretto a guardare gli altri giocare in pista al pomeriggio, mentre lui era mestamente seduto nel proprio box. Il termine della sua carriera è stata un tramonto triste e l'ultima stagione non è stata poi dissimile da quella tribolata di altri campioni come Valentino Rossi, Jorge Lorenzo o Dani Pedrosa.
Un finale amaro
In pochi, se non animati da una speranza dettata più dal cuore che dalla mente, avevano prospettato un ultimo podio a Jerez per Rea, prima del ritiro. La realtà vista in gara-1 ha però mostrato impietosamente che un conto era farsi vedere nelle prime posizioni per qualche giro, un conto riuscire a tenere quel passo per tutta una gara. Johnny è scivolato come varie alte volte quest'anno, in una stagione che lo ha visto al massimo agguantare un quinto posto. La Superpole Race ha poi messo fine alla sua avventura tra le derivate di serie con un ruzzolone evitabile, in compagnia di Remy Gardner. “Avrei voluto arrivare all'ultima gara, all'ultimo giorno della carriera, con un'altra condizione e senza il dolore lancinante alle braccia - ha Rea dopo il crash-. Ma purtroppo questo è il destino”.
Le prime vittorie
La carriera di Rea era iniziata con il botto, nel senso buono. Dopo tre buone stagioni nel British Superbike, tra cui un secondo posto nel 2007, il nordirlandese era approdato nel WorldSSP l'anno successivo con Ten Kate Honda e in occasione dell’ultimo round dell’anno era stato chiamato nel WorldSBK per scendere in pista a Portimao, al posto dell’infortunato Kenan Sofuoglu. Il suo era stato un debutto da campione: terzo tempo in prova e quarto posto in gara-1. Già l'anno successivo era riuscito a vincere la sua prima gara: a Misano, per soli 63 millesimi su Michel Fabrizio.
Una scelta sbagliata
Dopo 6 stagioni in Honda e 9 in Kawasaki, condite da 6 titoli consecutivi che sono tutt'ora un record probabilmente inarrivabile, a fine 2023 Jonathan Rea aveva lasciato la Verdona: un po' per mancanza di fiducia nella svolta Bimota, un po' perché aveva intravisto in Yamaha una moto comunque capace di vincere, almeno tra le mani del rivale Razgatlioglu.
Nelle ultime tre stagioni con la Ninja, pur non riuscendo a battere il turco o Bautista, Johnny aveva comunque concluso il campionato da ottimo secondo e terzo con onore. E Kawasaki gli aveva sempre fornito una moto “su misura”, anche se magari nelle ultime stagioni la pressione di Ducati e Yamaha si era fatta importante. Salire sulla moto di Iwata è stata una mossa dettata dalla volontà di ottenre di più, ma è stato invece l'inizio della fine. Sulla R1, il nordirlandese non si è mai trovato a suo agio, nel box non ha legato con la parte tecnica e in pista non ha goduto di una moto particolarmente competitiva. Cambiare il proprio tecnico di riferimento non ha migliorato la situazione, infortuni e stanchezza hanno reso tutto troppo difficile.
Un addio “obbligato”
Rea ha anche sondato diverse altre piste, in Ducati come in BMW, ma la verità è che a 38 anni compiuti e dopo due anni lontano dalle posizioni che contano, oggi in pochi credono nel potenziale rimasto e forse lui stesso non è più così convinto. Ma poi, dopo 6 titoli mondiali e tante vittorie, va bene anche così.
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