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Intervista esclusiva - Marco Melandri: “La mia favola è arrivata alla fine"

Alla vigilia del round di Laguna Seca Marco Melandri ha annunciato il suo ritiro dalle corse a fine stagione. Abbiamo potuto fare una chiacchierata con lui, ripercorrere i suoi vent'anni di carriera, i suoi rapporti con gli avversari e cercare di scoprire quale sarà il suo futuro dopo ottobre
"Nicky lo ricordo con affetto"
Prima di prendere il volo e partire per gli Stati Uniti, dove questo fine settimana prenderà parte al round di Laguna Seca, Marco Melandri ha organizzato una conferenza stampa nella quale ha annunciato il suo ritiro dallle gare. Il ravennate lascia così le moto e chiude una carriera durata 21 anni. Una prima parte vissuta nel Motomondiale, tra 125, 250 e MotoGP dove ha collezionato 215 gare, vincendone 22 e conquistando 62 podi. La seconda parte in Superbike, dove ha ottenuto 75 podi, vinto 22 gare ed è diventato l'italiano più vincente di sempre. La nostra Serena Zunino lo ha intervistato in esclusiva.

Come hai preso la decisione di ritirarti?
Da piccolo vivevo in un quartiere di case popolari. Andavo al bar a vedere le gare e poi sognavo di diventare un pilota, di far parte di quella cerchia ristretta. Ho avuto la fortuna di poterlo fare ad alti livelli, quindi ho vissuto una favola. Come tutte le favole, c’è un inizio ma dev’esserci anche una fine. Quando torni a casa e non hai apprezzato quello che un tempo ti ha fatto sognare, devi avere la forza e il coraggio di dire basta.
Ci pensavo dalla Tailandia, e l’idea di ripartire da zero mi logorava. Abbiamo lavorato sodo, abbiamo migliorato. A Misano il sabato c’è stato il momento più critico. Durante la gara mi facevo delle domande, e il fatto che avessi avuto tempo di farmi delle domande voleva dire che qualcosa non andava. Fino a fine stagione darò il massimo, se lo merita la squadra, Yamaha e lo voglio anche io. Lo comunico adesso perché non ce la facevo più. Avevo deciso a Imola, ho aspettato di avere le ultime conferme per non aver ripensamenti. Domenica sera a Donington ho chiamato Alberto (Vergani, il suo manager, ndr) e gli ho detto che avrei voluto togliermi questo peso, mi stava logorando. Era giusto che tutti sapessero per muoversi e io godermi le ultime gare.

Per cosa vorresti essere ricordato in questo ambiente?
Per la persona che sono. Con i miei pregi e i miei difetti sono sempre stato onesto. Trovo che l’onestà sia un pregio, anche se in questo mondo non è sempre così. Quando vado a dormire la sera sono in pace con me stesso.

Vent’anni di carriera come li riassumi?
Difficile farlo. Quando guardo indietro sono tanti. Di fatto mi sembrano pochi. Ricordo perfettamente quasi ogni singolo momento che ho passato in moto, e mi sembra che sia passato pochissimo tempo. Ricordo la prima gara a Brno, quando ero in griglia, nel 1997. Ricordo le sensazioni della prima gara che ho vinto ad Assen, nel 1998. Ricordo anche i momenti brutti, ma alcuni si sono trasformati in belli. Come l’ultima gara in Argentina nel 1999, con Emilio Alzamora, quando gli parlai e gli chiesi scusa (il giovanissimo Melandri cercò di buttare fuori Alzamora all'ultimo giro per conquistare il titolo ndr). Mi resi conto di aver fatto una cavolata ma ci stava, la posta in palio era alta e l’età era quella che era. Quando ho sbagliato sono riuscito a mettere a posto le cose.

Quali sono stati i tre momenti più significativi a livello sportivo?
Tre sono pochi, direi la vittoria del titolo, la prima gara vinta in MotoGP, tanta roba, così come Phillip Island nel 2006. Poi la prima vittoria ottenuta sia in Yamaha sia in BMW in Superbike. Quella con Yamaha è arrivata dopo un momento per me molto difficile. Con la casa bavarese, un’azienda così importante, portare la prima vittoria nelle moto è qualcosa che resta.

Nella tua carriera quando hai capito di essere diventato davvero un pilota?
Quando Benetton mi mise a contratto per due anni per correre nel Mondiale. Lì ho capito che poteva diventare la mia vita. E forse solo quando ho firmato per tre anni con Aprilia (2000, 2001, 2002) ho capito che avrei guadagnato molti più soldi di quelli che avrei potuto pensare nella mia vita. Con la casa dietro e tutto, non era più un gioco. Dovevo divertirmi ma allo stesso tempo dovevo rappresentare un’azienda. Dovevo essere più responsabile.

Hai qualche rimorso?
Mi sarebbe piaciuto vincere di più, ma il passato non si può cambiare.

C'è un avversario che ricordi con affetto?
Ce ne sono tanti. Nel 2005 e nel 2006 c’era ancora un po’ di valore umano nel Motomondiale. Nicky (Hayden, ndr) era una grande persona. Spesso andavamo in bici insieme, prima o dopo i test in Australia. Una volta in America andammo a girare con la moto da cross insieme, lui era un pilota un po’ vecchio in stile. Non era adatto al mondo odierno.
Per il resto ho avuto buoni rapporti con tanti, Gibernau, Pedrosa, Biaggi l'ho conosciuto poco. Quando ho avuto problemi ho sempre detto quello che pensavo. Lo facevo per il bene del rapporto. Alla fine noi piloti giriamo il mondo tutti per la stessa passione. Non ha nemmeno senso che ci si stia sulle palle. Se ci sono dei problemi è giusto dirseli in faccia.

Quindi dopo novembre sarai un pensionato?
Tecnicamente no, nel motociclismo non c’è professionismo, quindi sono disoccupato. Disoccupato per scelta! (ride)

Hai accennato prima ad un interesse per la MotoE...
Mi incuriosisce quello che è diverso, tutto quello che non conosco. Ne avevo parlato con Fausto Gresini ed ero andato a vedere un test. È vero che è un campionato, ma per ora è più uno show, gare corte, di contorno. Secondo me lì c’è spazio anche per rapporti tra piloti. Poi c’è Gibernau, vedendo lui sarei anche un bambino! (ride)
 

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