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Africa Eco Race 2019 - Intervista Franco Picco, una vita per i rally

Il pilota veneto ci ha raccontato le tante differenze tra la vecchia Parigi-Dakar, la nuova gara in Sudamerica e l'Africa Eco Race e la magia sempre uguale della corsa verso il Lago Rosa: “Le prime Dakar erano speciali, ma questa Africa Eco Race ha il bello dell'avventura”
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Off-Road
Tre generazioni di avventura
Un rally come l'Africa Eco Race non è solo gara, è fatto di molti momenti frenetici, tanto per i piloti quanto per le assistenze e tutto quello che gira intorno alla corsa. A seconda dei ruoli – ma a volte anche indipendentemente dagli stessi – bisogna spostarsi, espletare formalità, riparare come si riesce il materiale che inevitabilmente si rompe: il tutto in una vera babele. Ma si possono vivere anche istanti di insospettata tranquillità. Quando raramente succede è possibile riposare, nutrirsi, farsi raccontare le mille storie che la gara verso Dakar regala. Il nostro Guido Sassi, in uno di questi rari momenti di quiete, ha potuto intervistare Franco Picco, una vera e propria garanzia di memoria: in oltre trent'anni di corse ha conosciuto la vecchia Parigi-Dakar, la nuova gara in Sudamerica e anche l'Africa Eco Race. La diversità tra presente e passato è già nei primi chilometri dopo il via: “Una volta si partiva da Parigi e il prologo lo abbiamo fatto persino a Versailles. Era un fettucciato assurdo e i crossisti come me ne venivano fuori bene, anche se ho ammaccato più serbatoi lì che in ogni altro posto. Comunque dopo la partenza c'erano più di mille chilometri per arrivare a imbarcarsi a Sète. Si scendeva per strade normali, a volte erano ghiacciate. Ricordo un freddo incredibile. Però quando passavamo per i paesi la gente ci aspettava per salutarci, come fosse il Giro d'Italia. Ti offrivano da bere e da mangiare”.
Picco arrivò alla Dakar non per caso o per passione, ma guidato da logiche aziendali che lo volevano più preparato in determinati contesti: “Correvo per Yamaha nel Mondiale cross 500: avevo fatto dei buoni piazzamenti sul duro, ma dovevo migliorare sulla sabbia. Così Belgarda mi mandò a fare allenamento alla Dakar. Feci una settimana in testa, poi rimasi senza assistenza. Conquistai un terzo posto. Io avevo ancora in mente il cross ma in Yamaha invece facevano tutti festa per il mio risultato. In vista dell'anno successivo mi mandarono in Giappone per dare indicazioni sul prototipo da realizzare. Per loro era fondamentale avere informazioni dirette, in quel periodo era tutto ancora agli inizi”.
L'evoluzione tecnica nella seconda metà degli anni 80 faceva grandi passi in avanti anno dopo anno: “Eravamo partiti con il TT, anche se c'era scritto sopra Ténéré, poi diventò un 660, un 680, fino al mono 750 cinque valvole raffreddato ad acqua. Dal 1990 in poi fu la volta del Super Ténéré. Ma a quei tempi si osava e si vedevano anche soluzioni un po' strane. Per dire, Jean Claude Olivier nel 1988 corse con un 4 cilindri di derivazione FZR”. E qui veniamo all'altra grande differenza tra gli anni dei pionieri e il passato più recente: “La sabbia, le dune sono arrivate dopo, all'inizio scendevamo quasi solo per piste. Anche per quel motivo i bicilindrici andavano bene, sul dritto erano impressionanti. Ma personalmente ho sempre preferito l'agilità dei mono”.
La capacità di navigare non vuol dire solo sapere interpretare il roadbook, ma anche farlo nei tempi necessari a non compromettere velocità e sicurezza di guida: “Sicuramente oggi i distacchi sono più contenuti, un rally come l'Africa Eco Race è tecnico. Bisogna gestire bene la lettura con la guida, muoversi nei tempi giusti. La Dakar è più una gara da polso, da team ufficiali, dal grande impatto commerciale. Ma se invece cerchi un rally per i veri appassionati, in una dimensione familiare, L'Africa Eco Race sa interpretare meglio quel concetto".
Così come sono cambiate le moto e il percorso, anche la tecnologia e le comodità sono entrate in questo mondo di avventura: “Gli spazi della gara africana sono immensi. Soprattutto mano a mano che scendi, attraversi zone poco battute. Sei davvero lontano dalla civiltà, mentre la Dakar attraversa spazi molto più antropizzati, i trasferimenti sono lunghissimi e c'è anche parecchio asfalto. I bivacchi oggi comunque sono più confortevoli di un tempo: ci sono le docce, il mangiare è molto meglio. E poi è quasi impossibile perdersi: ci sono gli elicotteri che tengono la situazione sotto controllo, sanno sempre dove sei. Una volta quando ti perdevi andava già bene se arrivavi al bivacco entro sera”.
Il gusto dell'avventura in Africa non è certo scomparso, e anche i panorami sono affascinanti oggi come ieri: “Al tempo, quando scendevamo per l'Algeria e attraversavamo il Niger, a me piaceva moltissimo il Ténéré. Ora incanta la Mauritania, soprattutto per la sabbia".
In definitiva sono cambiate le moto, il percorso, la tecnologia e i comfort: 30 anni di differenza nello sport sono davvero tanti. Qualcosa però, o meglio, qualcuno in questo mondo sembra non cambiare mai: sono i piloti da rally: “Da quel punto di vista è ancora tutto abbastanza simile al passato: qui un pilota deve essere capace di essere veloce, ma anche navigare bene. Capire qualcosa di meccanica, sopportare la fatica, essere in grado di arrangiarsi. Bisogna essere resistenti”. L'Africa Eco Race in fondo è davvero un po' di tutto questo ed è il segreto della sua magia.

Ph. Alessio Corradini

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