Paolo Simoncelli duro: “Gli americani hanno rotto: cancellano la storia del motociclismo”
L’ingresso della nuova proprietà statunitense nel Motomondiale segna, secondo Paolo Simoncelli, una frattura profonda con la tradizione delle corse. Tra spettacolarizzazione, memoria sportiva a rischio e scelte che penalizzano le categorie minori, il fondatore della Sic58 racconta un motociclismo che non riconosce più
Intervista a Paolo Simoncelli
Intervistato dal Corriere della Sera, Paolo Simoncelli torna a parlare di corse, di presente e di memoria. Lo fa con la franchezza che lo contraddistingue, senza attenuare rabbia e delusione per un motociclismo che sente sempre più lontano da quello che ha conosciuto e vissuto per una vita. A 75 anni, il fondatore del team Sic58 - nato nel 2013 in onore del figlio Marco - ammette che il momento del distacco potrebbe non essere lontano.
La nuova gestione e il rischio di "cancellare la storia"
Il nodo principale dell’intervista è il rapporto sempre più difficile con la nuova gestione del Motomondiale. L’ingresso di Liberty Media, che ha acquisito Dorna, viene vissuto da Simoncelli come una rottura netta con il passato.
“Questi americani mi hanno già rotto”, dice senza giri di parole. Il punto, per lui, non è solo organizzativo, ma culturale: “Mirano a cambiare tutto, sembra che non vada bene niente di quello che abbiamo costruito”. A preoccupare Paolo è soprattutto l’idea di ridimensionare il valore sportivo delle categorie minori, dando peso quasi esclusivo ai titoli MotoGP: “Vogliono togliere dai conteggi ufficiali i titoli vinti nelle categorie inferiori”, racconta. “Così mio figlio Marco, i Gresini o i Nieto sparirebbero. Vogliono cancellare la storia”.
È ufficiale: la MotoGP è degli americani. Cosa succede ora?
Una deriva che, secondo lui, rischia di trasformare il motociclismo in puro intrattenimento: “Vogliono solo lo spettacolo, ma allora che facciano un circo”.
Non manca una critica strutturale al sistema: piloti sempre più giovani, già plasmati da manager e preparatori, fisici “da MotoGP” a 18 anni e un accesso al Mondiale che arriva troppo tardi. La soluzione, per Simoncelli, sarebbe semplice: “Ogni squadra della MotoGp dovrebbe avere un team in Moto3 e Moto2”. Ma il senso di inutilità che avverte lo spinge a pensare seriamente di smettere: “A questa età diventa tutto più complicato. Mi mancheranno un sacco le corse. Bisognerà sapere gestire meglio la vita di tutti i giorni e impegnarsi in qualcosa, sennò si diventa vecchi in un attimo. Ma ho una moglie che spinge, mi vuole fare lavorare tutti i giorni. Quindi vedrà che non mi annoierò!”.
Marco tra memoria e destino
Il cuore più profondo dell’intervista resta però Marco. Il figlio non viene mai raccontato come un’icona, ma come una presenza ancora viva. Le sue ceneri sono nella sua stanza, che non è mai stata cambiata: “Dorme ancora lì”. Paolo ammette di sognarlo, anche se su ciò che si dicono preferisce non entrare nei dettagli. Resta il dolore, ma senza rimpianti. “Il destino di Marco era questo. Io e mia moglie abbiamo fatto di tutto affinché fosse felice e lui è morto mentre stava facendo una cosa che lo rendeva felice”. .
Poi c’è il ricordo dell’ultimo giorno, segnato da una sensazione che ancora oggi lo accompagna. “Mi arrivò addosso un vento gelido che sapeva di morte. Mi sono detto: “lo vado a fermare”. Ma mancava un minuto”.
Il senso delle corse
Dopo la tragedia, Simoncelli non ha mai pensato di abbandonare subito le moto. Al contrario, fondare la Sic58 è stato un modo per restare in piedi: “Ho fondato la squadra per non morire”. Le corse, dice, gli hanno regalato quindici anni bellissimi e lo hanno aiutato a sopravvivere al vuoto. Per questo ringrazia Carmelo Ezpeleta, che lo ha sempre sostenuto.