Salta al contenuto principale

Moto Guzzi V7: la nascita di una leggenda italiana

Nata per soddisfare le esigenze delle forze dell'ordine, la V7 fu anche la prima bicilindrica a V di 90° della Casa di Mandello. Da noi sostituì il Falcone (allora in dotazione alle forze di polizia)  e negli States le pesanti H-D. Ad uso civile fu quindi seguita dalla V7 Special e, grazie al “magico” telaio Tonti, dall’inarrivabile Sport…

Moto Guzzi V7

Sono passati ormai  più di sessant'anni da quando, nel 1965, Moto Guzzi presentò al mondo un modello destinato a fare storia. Progettata da Giulio Cesare Carcano e sviluppata successivamente da Lino Tonti per dar vita alla versione Sport, la V7 fu la prima bicilindrica a V di 90° della Casa di Mandello: una svolta tecnica ed estetica che ancora oggi influenza le Guzzi moderne. Ma partiamo dall’inizio…

L’arrivo della V7

Image

Presentata come novità assoluta al 39° Salone di Milano nel novembre 1965, la V7 700 si distingueva per l’architettura del motore e per l’aspetto imponente. Entrata in produzione nel 1967, fu concepita in un periodo particolarmente difficile per la Moto Guzzi, con vendite in calo e un mercato italiano in crisi. La bicilindrica a V di 90° nacque quindi sia da necessità economiche sia da un’intuizione tecnica di Carcano, che volle creare un motore semplice, robusto e affidabile, capace di ridurre al minimo gli interventi di manutenzione. La produzione iniziale del 1966 vide l’assemblaggio di 87 esemplari, di cui la maggior parte destinati agli Stati Uniti, dove la V7 fu soprannominata “Bufalo” o “Goose”. Nel 1967 la produzione vera e propria iniziò a pieno ritmo, con oltre mille moto assemblate nel primo anno, molte delle quali esportate nel mercato statunitense, aprendo la strada a un successo internazionale che avrebbe consolidato la reputazione della Moto Guzzi nel mondo.

La tecnica

Image

Il cuore della V7 era il bicilindrico a V di 90° da 703 cm3, con alesaggio e corsa di 80x70 mm, bronzine al posto dei cuscinetti a sfere e raffreddamento ottimale dei cilindri, tutti elementi che garantivano affidabilità e silenziosità. Il motore era in grado di erogare circa 50 CV, con un volano di generose dimensioni che assicurava un’elasticità di marcia notevole. Numeri che s traducevano in  una velocità massima intorno ai 165‑170 km/h.  La trasmissione ad albero eliminava la manutenzione delle catene, mentre il cambio, preciso e robusto, richiedeva una certa attenzione negli innesti a causa della riduzione relativamente bassa tra albero motore e albero di trasmissione. 
La ciclistica era solida e adatta alle prestazioni della moto: telaio a doppia culla continua in tubi d’acciaio, forcella idraulica anteriore e ammortizzatori posteriori regolabili su tre posizioni. I freni erano a tamburo, con doppia camma. Il tutto per un peso dichiarato era di 230 kg. Una moto sorprendentemente stabile anche nel misto stretto.

Il “mito” della 500 e del mulo a 3 ruote

La vulgata vuole che il V Twin della Guzzi nacque come motore equipaggiato dal 3×3 ( o mulo meccanico) in dotazione alle truppe alpine italiane. Come spiegato dallo stesso Carcano però, le cose non andarono esattamente così: “Ho progettato un motore bicilindrico a V di 90° da montare sulla mia FIAT 500. Perché l’ho fatto? Mi piaceva tanto quella vetturetta, ma il suo motore era fiacco. Col mio bicilindrico da 35 CV  - racconta Carcano - filava a 135-140 km/h, lasciando tutti di stucco. La Moto Guzzi lo propose anche alla FIAT, ma purtroppo non se ne fece niente. Non è vero, come si dice, che quel motore andò a finire prima sul Mulo Meccanico 3x3, poi sulla V7. Il Mulo Meccanico non l’ho progettato io, ma Antonio Micucci, mentre la paternità della V7 è mia, ma con una motorizzazione che non aveva nulla in comune con quella della vetturetta, salvo l’architettura frontale dei cilindri e l’angolazione a 90°”. 

Una moto per le Forze dell’Ordine

Image

Fin dai primi prototipi, la V7 fu progettata con un occhio alle esigenze militari. Anzi, la sua nascita si deve proprio alla richiesta della Polizia di avere un veicolo polivalente in grado di sostituire quello che aveva fino ad allora rappresentato il modello tuttofare per molto tempo, il Falcone. Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Corazzieri ricevettero versioni speciali dotate di radio, sirena, lampeggianti, borse laterali e cupolini protettivi. 
A riceverla furono  anche gli agenti della Polizia di Los Angeles, che smisero le più pesanti Harley-Davidson in favore dell’agile V7 (destinata poi ad essere sostituita dall’ancor più celebre California). C’è anche da dire che i diversi allestimenti dedicati alle forze dell’ordine non solo soddisfacevano le necessità operative, ma testavano anche l’affidabilità della moto in condizioni estreme. Il successo nelle forze armate, confermato dai test su strada e officina, consolidò l’immagine della V7 come un mezzo robusto e versatile, capace di resistere a chilometraggi elevati senza problemi meccanici significativi. 

Arriva la V7 Special 750

Image

La V7 “civile” rimase in produzione fino alla fine del 1969, subendo modifiche tecniche minime ma significative, come l’adozione dei carburatori Dell’Orto VHB a vaschetta incorporata e l’aggiornamento dei coperchi punterie e della sella. Nel 1969 la V7 cedette il passo alla V7 Special 750, più rifinita e potente. Nuova era anche la riuscitissima verniciatura bicolore bianco e nera, impreziosita da filetti rossi e da ampie zone cromate sul serbatoio. L’aumento di potenza veniva richiesto in modo particolare dagli importatori americani, dove l’interesse per la V7 stava crescendo rapidamente. Negli Stati Uniti la moto veniva commercializzata con il nome di V7 Ambassador, adottando colorazioni differenti e la leva del cambio spostata sul lato sinistro. Il motore della V7 Special era - sempre -  il bicilindrico a V longitudinale di 90°, ma con carter, cilindri e teste realizzati in lega leggera. La produzione durò solo un paio di anni e cessò nel 1972 con il lancio della 850 GT, direttamente derivata dalla V7 Special ma con cilindrata portata ad 850 cm³ e cambio a cinque rapporti. Prima, però, arrivò la Sport con telaio Tonti. 

Con la Sport, la V7 scende in pista

Image

La nascita della V7 e la nuova gestione della SEIMM segnano anche il ritorno alle competizioni, atteso dopo il ritiro dal Mondiale nel 1957. Il progetto viene affidato a Lino Tonti, affiancato da Umberto Todero. Nel 1971 nasce la celebre pre-serie della V7 Sport, con 150 esemplari dotati di telaio verniciato in rosso, destinati alle concessionarie per “creare aspettativa” e permettere test su strada. Oltre al motore più prestante (bicilindrico a V di 90°, 748,4 cm³, con valvole in testa e distribuzione ad aste e bilancieri da 72 CV a 7.000 giri/min), l’aspetto più interessante della Sport era rappresentato dal telaio progettato da Tonti, sempre a doppia culla ma non più chiusa come sulla V7 Special, bensì abbinato ad una forcella teleidraulica ed, dietro, ai preziosi ammortizzatori Koni regolabili. I cerchi erano Borrani da 18” ed i freni (aggiornati poi con i dischi nella versione S3) a tamburo da 220 mm. Il tutto per un peso in ordine di marcia di 225 kg, I risultati furo impressionanti: 19 record mondiali, tra cui l’ora (217 km/h), i 100 km (218 km/h) e i 1.000 km (205 km/h). Nei bienni 1971‑1972, la V7 Sport partecipa al Bol d’Or di Le Mans con due equipaggi e, successivamente, alla 200 Miglia di Imola con motori portati a 850 cm3, anticipando la futura 850 Le Mans. Con l’arrivo di De Tomaso, però, l’attività sportiva e i progetti futuri furono abbandonati…

Della Sport ve ne parlavamo qui: Moto Guzzi V7 Sport, l'incedibile storia di un mito nato in uno scantinato

Aggiungi un commento
Mihawk
Gio, 18/12/2025 - 20:41
Quanto amo questa moto! Un sentito ringraziamento alla redazione per l'articolo.