MotoGP Starting Grid: Marquez vola ad Austin per tentare l'impresa
Il pilota spagnolo sarà della partita, sulla pista che lo ha visto dominare 7 edizioni su 8. Nel mondiale, in sua assenza, regna l'equilibrio più totale: Aprilia comanda, Ducati e KTM convincono, e solo i giapponesi sono in sofferenza
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Il primo back to back della stagione fa volare la MotoGP dall'Argentina agli Stati Uniti, dove in questo fine settimana si correrà il gran premio delle Americhe. Andiamo a vedere insieme al nostro Guido Sassi le novità della quarta gara stagionale, in MotoGP Starting Grid.
Cosa succede
Marc Marquez ci sarà, almeno per le visite mediche. Il pilota spagnolo, ricaduto nell'incubo diplopia dopo la caduta di Mandalika, sembra stare meglio. Ieri ha provato una Honda CBR600 nel circuito di Alcarras, vicino a casa, e al termine del test ha sciolto le riserve sulla sua partecipazione al weekend di Austin, suo terreno di caccia quasi esclusivo (7 vittorie in 8 partecipazioni). Domani MM93 dovrà ricevere il “fit”, cioè il benestare a correre da parte dei dottori del motomondiale, ma è difficile immaginare ostacoli al suo ritorno in pista. Come si potrà sentire Marc in sella a una moto da quasi 300 cavalli invece è tutto da vedere, anche se l'ottimismo in casa Marquez è tangibile, come hanno mostrato i post dello stesso pilota spagnolo: da “Se puoi sognarlo puoi farlo” ad altre manifestazioni di speranza, l'orientamento per ora è positivo.
Cosa avranno da dire gli altri piloti e team manager? Ci sarà qualcuno che solleverà dubbi o si sentirà poco sicuro a condividere la pista con un pilota che potenzialmente può avere un problema invalidante per la propria e altrui sicurezza? Anche questo lo scopriremo domani.
Che numeri
54 titoli mondiali, un dominio nelle classi minori iniziato nel 1992 e proseguito fino alla scomparsa del due tempi; un'avventura in superbike bella e di sostanza, coronata da due allori e terminata forse troppo presto: Aprilia ha segnato profondamente la storia del motomondiale e per arrivare a una favola davvero perfetta mancava solo il successo in MotoGP. Ora che Aleix Espargaro ci è riuscito (nel giorno del suo 200esimo gran premio per giunta), a Noale possono legittimamente guardare con orgoglio a quanto è stato costruito: dopo 19 mondiali piloti conquistati tra 125 e 250, la prima vittoria in gara nella classe regina arriva al compimento di un percorso iniziato 7 anni fa, nel 2015. I primi anni non sono stati facili: la RS-GP inizialmente era stata sviluppata sulla base della RSV4 superbike, una moto concettualmente troppo diversa dai prototipi. I primi spiragli di luce si sono visti solo l'anno scorso, con il podio conquistato da Espargaro a Silverstone, un terzo posto di prepotenza con sorpasso su Miller nel finale di gara.
Aleix in questo momento è in testa al mondiale, che comanda con 45 punti: l'equilibrio che regna in campionato ha indubbiamente favorito il raggiungimento del risultato. Altrettanto facilmente si può ovviamente passare dal primo posto a posizioni di rincalzo, ma Massimo Rivola può contare su una moto nata bene, che Romano Albesiano ha plasmato per funzionare al meglio su diversi circuiti. Forse non arriveranno a breve altri successi, ma podio e top5 sono realisticamente obiettivi raggiungibili quasi in ogni weekend. Se poi anche Maverick Vinales riuscirà a trovare la quadra in sella alla RS-GP, le soddisfazioni potrebbero addirittura raddoppiare.
La sfida
Aprilia e Ducati hanno dominato il gp dell'Argentina, con una doppietta di marchi italiani che non si vedeva dagli anni '70 al vertice del motociclismo sportivo. Allo stesso tempo i giapponesi sono al punto più basso della loro storia: cinque gran premi senza una vittoria nipponica non si vedevano proprio da mezzo secolo, anche se forse è presto per parlare di una svolta epocale.
Sicuramente le due marche italiane, più KTM, hanno dato una bella rinfrescata al panorama delle corse in pista, ognuno di questi marchi con un approccio differente. Aprilia è il brand con meno risorse del campionato, ha solo due moto in pista e ha ottimizzato un mix unico di creatività italiana e operosità veneta. KTM è al vertice opposto di questa interpretazione: investimenti faraonici e un approccio rigorosamente teutonico. È un modo di operare fatto di tanta programmazione e una rigidità che fino a oggi ha pagato forse meno della spesa effettuata, ma ha pur sempre pagato. Ducati sembra stare in mezzo, come la virtù: proprietà tedesca ma genio decisamente tricolore, un baricentro che anche a livello di team vede quattro espressioni diverse di italianità al servizio del desmo, con 9 gare consecutive a podio.
I risultati per ora parlano di una vittoria a testa nel mondiale 2022 per i tre marchi europei, e i giapponesi costretti a inseguire come non mai gli avversari, che hanno portato in MotoGP un'aria nuova e decisamente frizzante.
Questa è storia
Complici le complicanze dovute alla pandemia di Covid, l'anno scorso il GP delle Americhe si è disputato a ottobre, piuttosto che nella tradizionale collocazione primaverile in calendario. Lo spostamento ha permesso a Marc Marquez di partecipare e vincere, come di consueto, la gara texana. Lo spagnolo ad Austin ha uno score di 7 vittorie su 8 partecipazioni, un dato impressionante e per niente scalfito dalle problematiche a braccio e spalla che lo hanno afflitto nel 2021. Nella scorsa edizione MM93, pur non scattando dalla pole, ha guadagnato la prima posizione già alla prima curva, e ha guidato come sa fino all'arrivo. Quartararo e Bagnaia si sono dovuti dividere spicci di gloria, con un due podi solidi e che hanno rimarcato tuttavia la differenza che c'è tra Marc e ogni altro pilota in Texas.
Hot spot
Austin è una delle piste più lunghe del calendario: si sviluppa su 5.5 chilometri e presenta ben 20 curve. Una delle più interessanti è indubbiamente la 12, che arriva al termine del lungo rettilineo di ritorno di oltre 1200 metri. La staccata è impressionante: le moto arrivano a 340 chilometri orari ed entrano nell'imbuto che piega a sinistra a poco più di 60, i piloti rimangono aggrappati alla leva per più di 6 secondi, in una frenata da oltre 300 metri. Il punto è buono tanto per sorpassare (se si ha motore vale anche la seconda parte del rettilineo stesso), che per cadere, eventualità che purtroppo si verifica non troppo di rado. Anche Marquez, che nel 2019 stava dominando la gara, ha assaggiato l'asfalto proprio alla 12: in quella occasione si era sospettato un problema tecnico, ma al di là degli episodi la curva presenta davvero diverse insidie.
Cosa succede
Marc Marquez ci sarà, almeno per le visite mediche. Il pilota spagnolo, ricaduto nell'incubo diplopia dopo la caduta di Mandalika, sembra stare meglio. Ieri ha provato una Honda CBR600 nel circuito di Alcarras, vicino a casa, e al termine del test ha sciolto le riserve sulla sua partecipazione al weekend di Austin, suo terreno di caccia quasi esclusivo (7 vittorie in 8 partecipazioni). Domani MM93 dovrà ricevere il “fit”, cioè il benestare a correre da parte dei dottori del motomondiale, ma è difficile immaginare ostacoli al suo ritorno in pista. Come si potrà sentire Marc in sella a una moto da quasi 300 cavalli invece è tutto da vedere, anche se l'ottimismo in casa Marquez è tangibile, come hanno mostrato i post dello stesso pilota spagnolo: da “Se puoi sognarlo puoi farlo” ad altre manifestazioni di speranza, l'orientamento per ora è positivo.
Cosa avranno da dire gli altri piloti e team manager? Ci sarà qualcuno che solleverà dubbi o si sentirà poco sicuro a condividere la pista con un pilota che potenzialmente può avere un problema invalidante per la propria e altrui sicurezza? Anche questo lo scopriremo domani.
Che numeri
54 titoli mondiali, un dominio nelle classi minori iniziato nel 1992 e proseguito fino alla scomparsa del due tempi; un'avventura in superbike bella e di sostanza, coronata da due allori e terminata forse troppo presto: Aprilia ha segnato profondamente la storia del motomondiale e per arrivare a una favola davvero perfetta mancava solo il successo in MotoGP. Ora che Aleix Espargaro ci è riuscito (nel giorno del suo 200esimo gran premio per giunta), a Noale possono legittimamente guardare con orgoglio a quanto è stato costruito: dopo 19 mondiali piloti conquistati tra 125 e 250, la prima vittoria in gara nella classe regina arriva al compimento di un percorso iniziato 7 anni fa, nel 2015. I primi anni non sono stati facili: la RS-GP inizialmente era stata sviluppata sulla base della RSV4 superbike, una moto concettualmente troppo diversa dai prototipi. I primi spiragli di luce si sono visti solo l'anno scorso, con il podio conquistato da Espargaro a Silverstone, un terzo posto di prepotenza con sorpasso su Miller nel finale di gara.
Aleix in questo momento è in testa al mondiale, che comanda con 45 punti: l'equilibrio che regna in campionato ha indubbiamente favorito il raggiungimento del risultato. Altrettanto facilmente si può ovviamente passare dal primo posto a posizioni di rincalzo, ma Massimo Rivola può contare su una moto nata bene, che Romano Albesiano ha plasmato per funzionare al meglio su diversi circuiti. Forse non arriveranno a breve altri successi, ma podio e top5 sono realisticamente obiettivi raggiungibili quasi in ogni weekend. Se poi anche Maverick Vinales riuscirà a trovare la quadra in sella alla RS-GP, le soddisfazioni potrebbero addirittura raddoppiare.
La sfida
Aprilia e Ducati hanno dominato il gp dell'Argentina, con una doppietta di marchi italiani che non si vedeva dagli anni '70 al vertice del motociclismo sportivo. Allo stesso tempo i giapponesi sono al punto più basso della loro storia: cinque gran premi senza una vittoria nipponica non si vedevano proprio da mezzo secolo, anche se forse è presto per parlare di una svolta epocale.
Sicuramente le due marche italiane, più KTM, hanno dato una bella rinfrescata al panorama delle corse in pista, ognuno di questi marchi con un approccio differente. Aprilia è il brand con meno risorse del campionato, ha solo due moto in pista e ha ottimizzato un mix unico di creatività italiana e operosità veneta. KTM è al vertice opposto di questa interpretazione: investimenti faraonici e un approccio rigorosamente teutonico. È un modo di operare fatto di tanta programmazione e una rigidità che fino a oggi ha pagato forse meno della spesa effettuata, ma ha pur sempre pagato. Ducati sembra stare in mezzo, come la virtù: proprietà tedesca ma genio decisamente tricolore, un baricentro che anche a livello di team vede quattro espressioni diverse di italianità al servizio del desmo, con 9 gare consecutive a podio.
I risultati per ora parlano di una vittoria a testa nel mondiale 2022 per i tre marchi europei, e i giapponesi costretti a inseguire come non mai gli avversari, che hanno portato in MotoGP un'aria nuova e decisamente frizzante.
Questa è storia
Complici le complicanze dovute alla pandemia di Covid, l'anno scorso il GP delle Americhe si è disputato a ottobre, piuttosto che nella tradizionale collocazione primaverile in calendario. Lo spostamento ha permesso a Marc Marquez di partecipare e vincere, come di consueto, la gara texana. Lo spagnolo ad Austin ha uno score di 7 vittorie su 8 partecipazioni, un dato impressionante e per niente scalfito dalle problematiche a braccio e spalla che lo hanno afflitto nel 2021. Nella scorsa edizione MM93, pur non scattando dalla pole, ha guadagnato la prima posizione già alla prima curva, e ha guidato come sa fino all'arrivo. Quartararo e Bagnaia si sono dovuti dividere spicci di gloria, con un due podi solidi e che hanno rimarcato tuttavia la differenza che c'è tra Marc e ogni altro pilota in Texas.
Hot spot
Austin è una delle piste più lunghe del calendario: si sviluppa su 5.5 chilometri e presenta ben 20 curve. Una delle più interessanti è indubbiamente la 12, che arriva al termine del lungo rettilineo di ritorno di oltre 1200 metri. La staccata è impressionante: le moto arrivano a 340 chilometri orari ed entrano nell'imbuto che piega a sinistra a poco più di 60, i piloti rimangono aggrappati alla leva per più di 6 secondi, in una frenata da oltre 300 metri. Il punto è buono tanto per sorpassare (se si ha motore vale anche la seconda parte del rettilineo stesso), che per cadere, eventualità che purtroppo si verifica non troppo di rado. Anche Marquez, che nel 2019 stava dominando la gara, ha assaggiato l'asfalto proprio alla 12: in quella occasione si era sospettato un problema tecnico, ma al di là degli episodi la curva presenta davvero diverse insidie.
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