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Moto Guzzi V11: le difficoltà aguzzano l'ingegno...

Pur vivendo un complicato periodo di transizione societaria, alla fine degli anni Novanta Moto Guzzi presenta la V11, una naked che sa parlare al cuore degli appassionati

Contesto e genesi di un rilancio

All’alba del terzo millennio Moto Guzzi è alle prese con una delicata transizione che vede il passaggio di proprietà dal Gruppo De Tomaso ad altre realtà americane e infine, nel 2000m con l'acquisto da parte del Gruppo Aprilia, guidato da Ivano Beggio e poi nel 2004 nel Gruppo Piaggio. 

Le difficoltà nel rinnovare la gamma degli anni 90 erano evidenti, ma la Casa di Mandello tirò fuori il classico colpo di reni e grazie anche alla matita ispirata di Luciano Marabese nel 1997 la V11 debuttò al salone di Milano. L'idea era chiara, si voleva una moto che ricordasse il passato, ma con contenuti tecnici moderni. Il risultato è la V11, svelata al pubblico nell’autunno 1999, con un’estetica pulita, quasi minimalista: nessuna carena di troppo, nessun fronzolo, solo le linee essenziali del telaio verniciato in rosso con la serbatoio e codino in verde Legnano (un colpo al cuore per gli appassionati perché era l'abbinamento della mitiva V7 Sport) e il motore in bella vista.

Cuore meccanico: il V2 di 90°

Il bicilindrico a V da 1.064cm3 raffreddato ad aria con iniezione elettronica Magneti Marelli eroga sulla V11 circa 91CV a 8.200giri e una coppia generosa di 94Nm a 5.400giri. La distribuzione a aste e bilancieri regala un rombo profondo e corposo, la spinta è decisa ai medi regimi la ripresa pronta in uscita di curva, favorita anche dal cambio a sei marce e dalla trasmissione finale a cardano, così come “prescritto” da Guzzi. 

Telaio, sospensioni e freni

La prima serie si distingue subito per il telaio rosso e per i mezzi manubrio che possono variare di posizione per personalizzare la posizione di guida, come sulla mitica V7 Sport

Il telaio monotrave in tubi d’acciaio restituisce un’ottima precisione di inserimento in curva e stabilità nei cambi veloci. L’anteriore è dotato di forcella rovesciata Sachs da 43mm, regolabile nel precarico, mentre al posteriore lavora un forcellone monobraccio sempre firmato Sachs, con ammortizzatore a gas e serbatoio separato. Sulle strade di montagna era un piacere da guidare! All’altezza l’impianto frenante, composto da doppio disco anteriore da 320mm con pinze Brembo a quattro pistoncini e disco posteriore da 282mm. Unico vero difetto erano gli ondeggiamenti dell'anteriore ad alta velocità: ci misero una pezza con la seconda serie, che a partire dal 2000 proponeva un telaio leggermente modificato, con il cannotto di sterzo più lungo, e una gomma posteriore da 180 anziché 170. 

I dettagli

Dietro la coda affusolata della V11 si nasconde un piccolo espediente meccanico: la cupoletta posteriore – completa di un appoggio per il fondoschiena pilota – è infatti fissata tramite due viti “a frugola”, facilmente accessibili. Smontandola si scopre il sedile passeggero, ma con pedane molto alte e un baricentro spostato in avanti, il comfort per il trasportato è tutt’altro che prioritario. 
Altro “dettaglio” è (anzi, era perché successivamente venne eliminato) il piccolo cuscinetto nero montato sul serbatoio, in lunghezza e con profonde scanalature per le ginocchia. Un particolare puramente decorativo, voluto per rievocare quelli delle GP anni ’60–’70, ma abbandonato già dopo i primi mesi perché giudicato poco coerente col look “nudo” e moderno della naked. 

Debutto sul mercato e problemi

All’esordio la V11 viene accolta bene. Vero che in quegli anni il “vintage” si chiamava “vecchio” e che per questo, va detto, le linee heritage non convinsero proprio tutti, ma le prove su strada sottolinearono la maneggevolezza e anche il nuovo cambio a 6 marce fu apprezzato, inconfondibile poi il “sapore” Guzzi del V2. Certo, la V11 non era la naked più leggera né la più estrema sul mercato, ma certamente era riuscita. La mancanza di mezzi per lo sviluppo però aveva portato con una certa fretta ad adattare il telaio della Daytona alla nuova moto, che però montava il nuovo cambio a 6 marce più compatto di quello a cinque, questo portava a una certa leggerezza dell'avantreno che perdeva precisione in velocità (oltre i 170 km/h). Una pecca che venne risolta quando Guzzi fu acquistata da Aprilia, la casa di Noale ridisegnò il telaio rendendo la V11 un po' meno agile ma decisamente più precisa.

Però i piccoli (e grandi...) guai continuarono, in particolare quando si decise di verniciare in nero goffrato il motore, bello ma... la verniciatura si staccava... Altro problema cronico la molletta del cambio che si rompeva impedendo il passaggio di rapporto. Un problema risolto poi artigianalmente dai concessionari Guzzi con una modifica al pezzo. 

Tante serie speciali

In ogni caso la V11 piaceva (e piace tutt'ora) e vennero proposte parecchie di edizioni limitate e grafiche esclusive, che ne aumentano il fascino da “serie da collezione” Ci sono: 

  •  V11 Sport Rosso Mandello (2001): 300 esemplari numerati con carene in carbonio, dettagli rossi e frizione monodisco sinterizzato.
     
  • V11 Scura: verniciatura nera opaca, cerchi a raggi scuri e manubrio abbassato per un look più aggressivo.
     
  • V11 Ballabio: omaggio all’omonima pista lariana, con grafiche inedite e scarico artigianale.
     
  • V11 Coppa Italia: caratterizzata da livrea tricolore e numerose componenti racing, pensata per i guzzisti più esigenti.
     
  • V11 LeMans (2001–2002): con serbatoio maggiorato da 22litri e sospensioni riviste per tour a medio raggio.

La versione Le Mans montava un grosso cupolino

Eredità e passaggio di testimone

La produzione si conclude intorno al 2006, ma il progetto della V11 rimane vivo a Mandello: il motore 1.064cm3 evolverà in versione Euro3, verrà montato sulle Breva V1100 e Griso, facendo della V11 “l’anello di congiunzione” tra la tradizione Guzzi e l’epoca contemporanea. Oggi la V11 continua a piacere a distanza di anni ed è abbastanza ricercata sul mercato dell’usato: semplice da mantenere e gratificante da guidare, un vendita se ne trovano parecchie, con prezzi a partire da circa 4.000 euro. Molto dipende, oltre che dallo stato di conservazione e dalla versione: le Ballabio sono tra le più economiche, mentre le versioni LeMans tra le più costose, proposte a prezzi più vicini ai 7.000 euro.  

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Mihawk
Ven, 20/06/2025 - 18:19
Ad oggi, mascherandosi dietro la loro unicità, non hanno nemmeno un cambio automatico.
Roviga
Ven, 20/06/2025 - 20:06
Ci fu anche la serie Cafè sport, grigia scura con molte finiture in carbonio. Forcella, mono ammortizzatore posteriore e ammortizzatore di sterzo Ohlins, freni Brembo serie oro...fantastica in ogni condizione !