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Moto Guzzi 750 S3: era meglio della V7 Sport ma è poco considerata

Aperta la strada dalla V7 prima e dalla V7 Sport firmata Tonti poi, Moto Guzzi affina la propria idea di sportività. Con le 750 S e S3, Mandello aggiorna tecnica e contenuti, cercando una risposta concreta ai nuovi standard del mercato. Due modelli di transizione, fondamentali per arrivare alla Le Mans

Una V7 (quasi) perfetta

Archiviato un periodo difficile fatto di crisi del mercato ed agitazioni sindacali, all’inizio degli anni Settanta Moto Guzzi è finalmente pronta a ridare lustro alla propria immagine sportiva. Subentrata alla famiglia Parodi il 16 giugno del 1969, la SEIMM (cioè la Società Esercizio Industrie Moto Meccaniche), garantisce capitali e stabilità economica, mentre nel reparto progettazione figurano nomi del calibro di Lino Tonti. Le premesse sono ottime. Non per nulla, proprio sotto la supervisione di Tonti, nel 1971 arriva la V7 Sport, bicilindrica che segna di fatto il ritorno di Moto Guzzi nelle corse e, più in generale, nel cuore degli appassionati.  
 

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Con il suo telaio Tonti e il bicilindrico a V di 90° da 748,4 cm³, la Sport ( a sua volta derivata dalla V7 “normale”) è una moto completa e (quasi) perfetta. Ma c’è un difetto che emerge subito: la frenata, ancora affidata a un grosso tamburo anteriore da 220 mm, non è più sufficiente a contenere la potenza del motore, soprattutto di fronte ai nuovi modelli giapponesi che adottano il disco anteriore di serie, come l’Honda CB750 del 1969. Moto Guzzi non resta a guardare e così, per venire incontro agli appassionati più esigenti, nel 1973 viene messo in vendita un kit completo di doppio disco anteriore, pinze Brembo a singolo pistoncino, gambali forcella e accessori vari, pensato per un montaggio domestico anche da parte del motociclista privato. È una soluzione tampone, che prepara la strada alla vera erede della Sport: la 750 S.

Moto Guzzi V7 Sport, l'incedibile storia di un mito nato in uno scantinato

La nascita della 750 S

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Presentata ufficialmente nel novembre 1973, la 750 S rappresenta il primo vero passo avanti nella gamma sportiva post-V7. L’aggiornamento estetico è evidente: il sellone sportivo, leggermente rastremato e terminante con una sorta di coda, slancia il retrotreno e conferisce alla moto un profilo più filante. Il carattere sportivo della S è ulteriormente sottolineato dalla nuova livrea: serbatoio e fianchetti in smalto nero, impreziositi da larghe strisce rosse, arancio o verdi, conferiscono un aspetto aggressivo e immediatamente riconoscibile. Inoltre, le grosse marmitte cromate della Sport lasciano spazio a due silenziatori bruniti Lafranconi, estetici e performanti, che completano il quadro di una moto pronta a sfidare le concorrenti. 
Tecnicamente, la 750 S riprende gran parte delle soluzioni della V7 Sport: motore a V di 750 cm³ derivato dalla V7 Special, trasmissione finale a cardano, frizione a secco, telaio a doppia culla in acciaio al cromo-molibdeno e semi-manubri regolabili. Oltre all’atteso doppio disco, tra le novità c’è anche la possibilità di spostare il comando del cambio sulla sinistra tramite un apposito kit, in linea con lo standard internazionale ormai consolidato, con cambio a sinistra e freno posteriore a destra. La ciclistica resta invariata: la regolazione rapida dei semi-manubri consente di trasformare in pochi istanti l’impostazione da sportiva a turistica, un elemento di grande versatilità per il motociclista dell’epoca. 
La 750 S resta in listino per due anni senza grandi modifiche, se non l’introduzione degli indicatori di direzione nel 1974, obbligatori per legge. Alla fine della produzione, nell’autunno 1975, sono stati assemblati oltre 1000 esemplari.

Arriva l'S3 con la frenata integrale

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Nel novembre 1975, al Salone di Milano, Moto Guzzi presenta la 750 S3, evoluzione della S caratterizzata dall’adozione di un disco posteriore in aggiunta ai due anteriori. La grande novità  (di cui Guzzi andrà tra l’altro parecchio fiera) sta nel sistema di frenatura integrale: premendo il pedale, uno dei due dischi anteriori e quello posteriore vengono azionati simultaneamente; tirando la leva al manubrio entra in funzione anche il secondo disco anteriore, da usare in condizioni di emergenza o ad alta velocità. Una soluzione che, per quanto avanti, non accontenta proprio tutti, con molti piloti pronti a lamentare l’impossibilità di gestire in modo autonomo la frenata anteriore, magari su fondi particolarmente scivolosi.

In ogni caso, la S3 rappresenta un deciso passo avanti in termini di sicurezza, come sottolineano i depliant dell’epoca: “La moto diventa oggi più sicura”. Nella fase di collaudo, la Casa di Mandello si avvale di piloti e collaudatori di grande esperienza, tra cui Vittorio Brambilla e Antonio Piazzalunga, testando anche prototipi da competizione con motore da 850 cm³, in previsione della futura Le Mans. Nonostante qualche critica sull’“indipendenza limitata” del pilota nel modulare la frenata, i test confermano che gli spazi di arresto si riducono sensibilmente, aumentando la sicurezza per chi non è esperto o per chi affronta strade impegnative. La fiducia nel sistema è tale che, nel 1975, la frenata integrale viene montata di serie su tutta la produzione di grossa cilindrata della Casa, compresi i modelli I-Convert e 850 Le Mans. In aggiunta, la S3 propone un elegante cupolino trasparente a protezione del faro, già visto su alcuni esemplari della S, e mostra un motore dal look vicino a quello delle sorelle maggiori da 850 e 1.000 cm³, con coperchi punterie e forcellone aggiornati. 

L’arrivo della 850 LeMans

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Ormai matura, l’S3 avrà vita breve e uscirà di produzione già l’anno successivo, cioè nel 1976. Nello stesso anno arriverà quindi la 850 LeMans erede tanto dello spirito sportivo delle V7 quanto delle soluzioni tecniche sperimentate in quegli anni,  ma con maggiore cilindrata e, in generale, un’impostazione più matura da sport-tourer. Ma quella è un’altra storia…

Ve la raccontavamo qui: Moto Guzzi Le Mans, storia ed evoluzione di un mito italiano

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