Kawasaki Z 1300 6 cilindri: storia la più incredibile tra le maxi
Nel pieno fermento tecnologico degli anni Settanta, Kawasaki alzò l’asticella con un progetto fuori scala: sei cilindri, 1.286 cm³ e una presenza scenica mai vista prima. Nata per stupire, la Z1300 debuttò nel 1978 lasciando tutti a bocca aperta: una tourer poderosa ma docile, diventata subito leggenda
In principio fu lo stupore
Erano gli anni Settanta: le maxi-moto crescevano in cilindrata, potenza e dimensioni e Kawasaki, forte del successo della Z1 900, non poteva certo essere da meno. Fu così che nel giugno del ’73, ad Akashi si iniziò a lavorare a un progetto destinato a diventare leggenda: una moto con sei cilindri in linea, 1.286 cm3 di cilindrata e 120 cavalli di potenza. Un’esagerazione? Forse. Ma l’obiettivo era chiaro: rispondere alla sfida lanciata da Honda, Yamaha e Suzuki…
Nome in codice “203”
In un primo momento si valutò tutto: un V6, un Wankel, persino un quattro cilindri a due tempi. Ma i limiti tecnici, i consumi elevati e le nuove norme antinquinamento statunitensi spinsero la casa giapponese verso una soluzione più concreta. Si scelse così il sei cilindri in linea raffreddato a liquido, soluzione tecnica che offriva equilibrio, compattezza e un’estetica “imponente”. Il progetto, nome in codice “203”, portò alla realizzazione nel 1976 del primo prototipo funzionante, con linee da sportiva e un cupolino che ne accentuava l’aggressività. Ma era solo l’inizio…
La "svolta turistica"
Nel biennio successivo, la “203” cambiò pelle. L’approccio sportivo lasciò il posto a una filosofia più turistica, dopo che Kawasaki raccolse pareri da filiali e giornalisti di mezzo mondo. Si misero mano a motore e ciclistica, si ridusse la rumorosità meccanica, si semplificò la trasmissione primaria (da ingranaggi a catena Morse) e si passò a tre carburatori doppio corpo. Il radiatore fu accoppiato a una ventola termostatata e la trasmissione ad albero venne sviluppata usando il know-how maturato con Isuzu. In risposta ad Harley-Davidson, che in quei mesi annunciava l’arrivo del suo V2 da 1.340 cm3. Kawasaki scelse di portare il suo sei cilindri a 1.286 cm3 effettivi, aumentando al contempo la capacità del serbatoio a 27 litri. Il risultato fu un colosso di 300 kg che però sorprese fin da subito per equilibrio e maneggevolezza.
Il debutto di una regina
Il 23 settembre 1978, al Salone di Colonia, sotto un telo nero si celava la novità più attesa. Quando venne svelata, la folla rimase senza parole: sei cilindri lucenti, silhouette muscolosa, proporzioni fuori scala. La Z 1300 era una muscle bike, una naked, una tourer e una superbike, tutto in uno. Poche settimane più tardi, a novembre, la stampa europea fu invitata a Malta per i primi test su strada. Le impressioni furono unanimi: personalità da vendere, sorprendente docilità e prestazioni senza rivali. La produzione partì nel gennaio 1979 e, nonostante il prezzo elevato, la Z 1300 si posizionò subito al vertice del mercato.
Motore

Il cuore della Kawasaki Z1300 era il poderoso sei cilindri in linea fronte marcia, a quattro tempi, raffreddato a liquido. Il monoblocco era realizzato in alluminio con canne riportate, mentre la testata in lega leggera ospitava due valvole per cilindro comandate da un doppio asse a camme in testa. La cilindrata era di 1.286 cm³, con alesaggio e corsa pari a 62x71 mm e un rapporto di compressione di 9,9:1. L'alimentazione era invece affidata a tre carburatori Mikuni BSW a doppio corpo da 32 mm con comando a membrana e valvola di regolazione dell'aria. La trasmissione primaria impiegava invece una doppia catena Hy-Vo Morse con rapporti 32/24 e 29/21, mentre la secondaria era ad albero cardanico con doppia coppia conica. Il cambio aveva cinque marce.
Ciclistica
Il telaio tubolare in acciaio a doppia culla chiusa lavorava insieme a una forcella telescopica da 41 mm regolabile ad aria, con escursione di 200 mm, e ad un forcellone oscillante con doppio ammortizzatore regolabile su cinque posizioni e con 100 mm di escursione. L’impianto frenante montava due dischi anteriori da 300 mm e un posteriore da 290 mm, tutti serviti da pinze a singolo pistoncino. Le ruote, in lega, montavano pneumatici da 110/90-18 all’anteriore e 130/90-17 al posteriore. Il tutto per un peso a secco 298 kg, a cui bisognava però aggiungere i 27 litri di carburante.
Prestazioni

Sul fronte delle prestazioni, la Z1300 dichiarava 125 CV a 8.000 giri e una coppia di 11,8 kgm a 6.500 giri. La velocità massima dichiarata era di 225 km/h con accelerazione 0-400 m in 12 secondi netti. In condizioni reali, la potenza rilevata alla ruota era però di soli 105,9 CV, la coppia 10,8 kgm, la velocità massima 228 km/h, e il passaggio sul quarto di miglio avveniva in 12,254 secondi, con uscita a 178,9 km/h. Il consumo medio rilevato era di 12 km/l in città e 14,2 km/l extraurbano. Un SUV.
Alla prova della strada
Più che le dimensioni, era il “peso psicologico” a intimorire. Ma bastava salire in sella per ricredersi. La posizione era naturale, la distribuzione dei pesi aiutava la maneggevolezza e l’avviamento del motore era un’esperienza in sé: nessuna vibrazione, solo una progressione fluida e piena a tutti i regimi. Nel misto veloce la “zetona” si dimostrava più agile del previsto, mentre nelle curve strette la coppia e la dolcezza del motore permettevano di guidare quasi senza toccare il cambio. Solo nelle pieghe più spinte il cavalletto o gli scarichi toccavano l’asfalto. La trasmissione ad albero, in accelerazione, generava qualche reazione, ma nulla che compromettesse il piacere di guida.
Evoluzione continua
Prodotta fino al 1985 in sei diverse serie, la Z 1300 subì modifiche minime ma continue. Nel 1984 arrivò per esempio l’accensione elettronica e, nel 1985, l’iniezione elettronica, che portò la potenza a 130 CV. In tutto furono prodotti meno di 20.000 esemplari, a cui si aggiunsero circa 4.500 unità della versione Voyager, pensata per il mercato americano: carena completa, sella-poltŕrona, borse laterali, radio, CB e computer di bordo. Il peso superava i 400 kg, tanto che in USA la ribattezzarono “car without doors”.

La altre 6 cilindri
La prima ad arrivare fu la 750 Sei di Benelli, presentata nel 1972 e lanciata sul mercato due anni dopo, con circa 3.200 esemplari prodotti. Nel frattempo però, anche Honda metteva mano a una sei cilindri di serie, ispirandosi – in questo caso – a sé stessa. L’idea nasceva dalla RC166, la sei cilindri 250 con cui Mike Hailwood dominò il Mondiale del 1966 vincendo tutti i Gran Premi. Per lo sviluppo del nuovo modello stradale veniva coinvolto Soichiro Irimajiri, già responsabile della RC166. Il risultato fu la CBX1000, presentata a fine 1977: un capolavoro tecnico con sei cilindri in linea, doppio albero a camme e quattro valvole per cilindro. Fu prodotta in 41.200 esemplari e proposta in quattro serie, con le ultime varianti dotate di carenatura e sospensione posteriore Pro-Link.
