Volevano innovare, ma furono un flop: le moto più strane di sempre
Non sempre le ciambelle riescono col buco. Ci sono moto che diventano leggendarie per la loro bellezza, altre per le loro prestazioni e altre che... insomma, hanno fatto discutere
Nel mondo delle due ruote, la bellezza è spesso un valore tanto ricercato quanto soggettivo. Tuttavia, alcune moto riescono nell’impresa di mettere tutti d’accordo… in negativo. Che si tratti di scelte estetiche discutibili, esperimenti stilistici finiti male o semplicemente di un approccio troppo radicale al design, certi modelli hanno lasciato il segno più per il loro aspetto che per le qualità su strada. In questa selezione ripercorriamo alcune delle moto più “difficili da guardare” mai prodotte, senza limitarci a un’epoca o a una categoria precisa. Una lista per certi versi amara ma si sa, il tempo cambia rapidamente i giudizi, e i brutti anatroccoli -Andersen insegna- poi diventano cigni...
Aprilia Motò 6.5 (1995)
Disegnata da Philippe Starck, celebre designer industriale, l’Aprilia Motò 6.5 nasceva con l’intento di rivoluzionare l’estetica motociclistica, fondendo arte e ingegneria. Il risultato, però, fu un oggetto più da ammirare che da guidare (almeno la prima serie). Le forme tondeggianti e minimali, il serbatoio a goccia, i fianchetti lisci e lo scarico alto in alluminio satinato le conferirono un aspetto da concept bike futurista… ma fuori tempo massimo. Il motore Rotax da 650 cm³ era affidabile, ma nulla poteva contrastare il generale disinteresse del pubblico verso una moto più simile a un esercizio di stile che a un mezzo quotidiano. Fu però un enorme successo di marketing, perché all'epoca, grazie all'archistar francese, trovò ampio spazio anche sulla stampa non specializzata.
Dati tecnici principali:
- Motore: monocilindrico Rotax da 649 cm³
- Potenza: 43 CV
- Trasmissione: 5 marce
- Peso a secco: circa 160 kg
BMW C1 (2000)
La BMW C1 rappresenta uno dei più audaci esperimenti mai visti nel mondo delle due ruote. Invece di limitarsi a costruire un classico scooter, BMW decise di ibridare moto e automobile, dando vita a un veicolo con tettuccio rigido, cintura di sicurezza e sedile da auto. Il risultato? Un mezzo ingombrante, esteticamente discutibile e poco funzionale. Il motore da 125 cm³ offriva prestazioni limitate, mentre il peso superava i 200 kg. L’idea di non dover indossare il casco grazie alla struttura di sicurezza era interessante, ma di fatto non applicabile in molti Paesi per via delle normative. Nonostante le buone intenzioni, fu un insuccesso commerciale.
Dati tecnici principali:
- Motore: monocilindrico 4 tempi da 124,9 cm³
- Potenza: 15 CV
- Trasmissione: automatica
- Peso a secco: circa 185 kg
Honda Rune (2004)
La Honda Rune ha diviso nettamente l’opinione pubblica: da un lato, chi la considera una scultura futuristica su ruote; dall’altro, chi la ritiene un’evoluzione mal riuscita della Valkyrie F6C. Il design appariscente, con il grosso faro frontale, la coda allungata e lo scarico “esagerato”, ha oscurato le qualità meccaniche della moto. Costruita attorno a un motore a sei cilindri da quasi 1.800 cm³, la Rune era imponente su strada, ma il prezzo elevato e l’estetica estrema ne hanno limitato il successo. Fu un esperimento costoso e unico nella storia Honda.
Dati tecnici principali:
- Motore: sei cilindri contrapposti da 1.832 cm³
- Potenza: 118 CV
- Peso in ordine di marcia: 403 kg
Buell RR1200 Battle Twin (1988)
Erik Buell era un ingegnere brillante, ma il design non era la sua priorità. La RR1200 Battle Twin fu concepita con un obiettivo chiaro: la massima efficienza aerodinamica. E ci riuscì, con uno dei coefficienti di resistenza più bassi dell’epoca. Ma visivamente era un disastro: carene massicce e sproporzionate, cupolino ingombrante, proporzioni bizzarre. La moto aveva prestazioni interessanti per l’epoca, ma un’estetica che faceva scappare anche gli appassionati più fedeli.
Dati tecnici principali:
- Motore: bicilindrico a V da 1.198 cm³
- Potenza: 60 CV
- Trasmissione: 4 marce
- Peso a secco: circa 186 kg
MV Agusta F4Z by Zagato (2016)
Quando si parla della MV Agusta F4, si parla di uno dei capolavori di Massimo Tamburini. Ma la versione realizzata da Zagato per un cliente giapponese è tutto fuorché armoniosa. Questo esemplare unico distorce completamente le linee eleganti dell’originale: carenature massicce, fori casuali, scarichi ridisegnati e una sella dalla forma ambigua. Una reinterpretazione che sembra nata da un esperimento, più che da un progetto estetico coerente. Un caso emblematico di come anche i grandi nomi del design possano inciampare.
Dati tecnici principali:
- Motore: quattro cilindri in linea da 998 cm³
- Potenza: 195 CV (base F4 2015)
- Trasmissione: 6 marce
- Peso stimato: circa 213 kg
Johammer J1 (2023)
Tra le elettriche più particolari mai prodotte, la Johammer J1 è un concentrato di soluzioni tecniche radicali e un design che ha lasciato tutti spiazzati. Il profilo da scarabeo, con forcella anteriore a parallelogramma, specchietti su steli lunghi e carrozzeria chiusa, la rende più simile a un veicolo alieno che a una moto. Le prestazioni non sono particolarmente brillanti, ma il prezzo elevato e il look stravagante la rendono un’icona… del cattivo gusto.
Dati tecnici principali:
- Motore: elettrico da 22 CV
- Autonomia: circa 150 km
- Velocità massima: 120 km/h
Ducati Multistrada (2003)
Chi scrive inserisce questa moto con parecchia fatica, perché a suo tempo (aiuto...) ha avuto modo di guidarla a fondo e apprezzarla parecchio. Detto ciò, non si può negare che la prima versione della Multistrada fu un esperimento non del tutto riuscito. Sebbene il concetto fosse valido — una Ducati per tutte le strade — il design (di Pierre Terblanche, che in Ducati disegnò tra l'altro anche la 999, altra moto poco amata dal punto di visto estetico) risultava scoordinato: frontale esteticamente indifendibile, posteriore spoglio, volumi poco armonici. Fu solo nel 2010 che Ducati riuscì a trovare una sintesi efficace tra forma e funzione, trasformando la Multistrada in un successo globale. Ma le origini furono tutt’altro che memorabili, almeno dal punto di vista stilistico. Ed è un peccato, perché andava davvero bene.
Dati tecnici principali:
- Motore: bicilindrico desmo da 992 cm³
- Potenza: 84 CV
- Peso a secco: circa 211 kg
BMW K1 (1988)
Pensata come una tourer futuristica, la K1 fu la risposta di BMW alla ricerca di efficienza aerodinamica. Il risultato? Una moto ingombrante, squadrata, con carenature pesanti e colorazioni sgargianti che sembravano uscite da un film di fantascienza anni ’80. Nonostante la meccanica solida e le buone prestazioni, l’aspetto troppo “avveniristico” la rese impopolare. Fortunatamente ha aperto la strada a modelli BMW più riusciti negli anni successivi.
Dati tecnici principali:
- Motore: quattro cilindri in linea da 987 cm³
- Potenza: 100 CV
- Peso a secco: 234 kg
Suzuki Katana (1981)
Il nome Katana evoca immediatamente un’immagine precisa: quella della spada giapponese dei samurai, simbolo di disciplina, precisione e onore. Non è un caso che Suzuki abbia scelto questo nome per una delle sue moto più iconiche, affidando il progetto a un team tedesco con il compito di reinterpretare il concetto di sportiva secondo una visione avanguardistica. Il risultato fu la Katana, presentata nel 1981, una moto (basata sulla solida GS 1100) che ruppe completamente con gli schemi estetici dell’epoca. Le linee taglienti, il cupolino squadrato, la sella alta e la coda spezzata rappresentavano un design spigoloso, quasi brutale, pensato più per colpire che per piacere. Se oggi il modello è considerato una pietra miliare e oggetto da collezione, al momento del lancio suscitò più perplessità che entusiasmo. Una moto che, come l’arma da cui prende il nome, divideva chi la osservava: c’era chi ne ammirava il coraggio, e chi la trovava semplicemente fuori luogo.
Dati tecnici principali:
- Motore: 4 cilindri in linea da 1.100 cm3
- Potenza: 104 CV
- Peso a secco: circa 232 kg
Foto e immagini