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MV Agusta 750 Sport: il flop della Ferrari a due ruote

Proposta ad un prezzo più che doppio rispetto alla concorrenza, la 750 Sport di MV Agusta nacque dal “capriccio” del Conte Domenico e non rispettò le attese degli appassionati. Dal 1970 al 1974 ne furono prodotti poco più di 1.000 esemplari

MV Agusta 750 Sport

Inutile girarci intorno: l’MV Agusta 750 Sport non era una moto “per tutti”. Al di là del prezzo, proibitivo, il motivo è  presto spiegato: a differenza della maggior parte dei modelli, che pur si posizionano per forza di cose su mercati differenti e che quindi si rivolgono a clienti differenti, la 750 Sport non fu “immaginata” per essere venduta al maggior numero possibile di appassionati, bensì per accontentare il “capriccio” del patron di MV Domenico Agusta. Fu infatti proprio lui a decidere di presentare la prima quattro cilindri stradale che l’industria motociclistica italiana avesse mai visto. Un desiderio “aristocratico”, snob, se volete, ma foriero di un vero e proprio capolavoro, oggi ambitissimo dai collezionisti e, allo stesso tempo, irraggiungibile per i più. Ecco la sua storia.  

Un sogno per pochi

Assemblata dai tecnici di Cascina Costa, la 750 Sport mostrò in anteprima a Milano nel novembre del 1969 linee affusolate e livrea rosso-blu dai richiami iridati per essere messa in vendita pochi mesi più tardi ad un prezzo a dir poco proibitivo: 1.950.000 lire. Più del doppio, giusto per fare un paragone, di quanto richiesto per una Norton Commando 750 o, per rimanere in tema quattro cilindri, un milione in più rispetto a alla Honda CB750. Ma così voleva il Conte Domenico Augusta, deciso ”concedere” la sua 750 Sport a pochi e facoltosi appassionati.  Appassionati che, oltretutto, devono mettere in conto tempi d’attesa lunghissimi per ottenerla, considerando la moto veniva sostanzialmente prodotta “su ordinazione”. In un modo o nell’altro, il “sogno” dura appena quattro anni, con la produzione della Sport che s’interrompe nel 1974 per un totale di 1.152 esemplari. 

Li valeva davvero?

Senza dubbio alcuno, 2milioni di lire erano davvero tanti ma, a conti fatti, li valeva davvero? Il fascino riscosso da MV, che in quegli anni dominava il mondiale con Giacomo Agostini, non si mette in discussione, così come l’alone di “sacralità” che da subito circondò la Sport. Detto questo, scheda tecnica e dettagli non erano da meno…

Il motore, cambio e trasmissione

Un poderoso 4 tempi con 4 cilindri fronte marcia inclinati in avanti di 20° con testa in lega leggera e cilindrata di 743 cm3. La potenza era di 69 CV a 7.900 giri per una velocità massima che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto superare i 220 km/h. La trasmissione finale era affidata a un albero cardanico (scelta voluta dal Conte Agusta per evitare l’uso agonistico privato, ma che penalizzò l’uso sportivo) mentre i cambio a 5 marce con ingranaggi scorrevoli sempre in presa si avvaleva di una frizione a dischi multipli a bagno d’olio. 

Telaio, sospensioni, cerchi e freni

Il telaio era un doppia culla chiusa in tubi d’acciaio abbinato, davanti, ad una forcella teleidrauilca telescopica Ceriani da 38 mm e, dietro, ai due ammortizzatori Marzocchi. Per quanto riguarda i freni, all’anteriore agiva un tamburo quadricamma con diametro 230x30 e al posteriore un tamburo centrale a camma singola con diametro 200x45mm. Infine le ruote: cerchi in lega leggera da 18”. Il tutto per un peso sulla bilancia di 230 kg a secco. Non esattamente un fuscello…

Stile e dettagli

A fare la differenza ci pensavano stile e dettagli. Lo schema cromatico in rosso, bianco e blu si abbinava a generose cromature applicate su parafanghi, forcella, marmitte e strumentazione, col massiccio quattro cilindri a dominare la scena. La sella è in pelle, con il codino bombato, esattamente come quella di Agostini. I tubi di scarico sono lunghi e sfociano in quattro “tromboni” che, anche a motore spento, fanno subito intuire il rombo dei quattro cilindri. Sul serbatoio spicca il marchio d’oro della ruota dentata e ali stilizzate 

Prestazioni “deludenti”

Affidata nei test niente meno che ad Agostini, la Sport 750 si rivelò all’altezza, ma solo fino ad un certo punto. Il quattro cilindri era ben bilanciato, non vibrava e non trasudava olio. La trasmissione considerata “eccellente”, sia nel cambio, preciso e ben spaziato, che nella frizione, morbida ma resistente. La posizione era abbastanza comoda, se non per il grosso serbatoio molto simile a quello della Disco Volante degli anni Cinquanta che obbligava ad una guida con le ginocchia un po’ troppo aperte. La delusione arrivò però nel momento in cui i tester provarono a spingerla alle velocità dichiarate: nonostante i tanti tentativi, non si superarono mai i 198 km/h. Stesso discorso per l’accelerazione sui 400 metri: 13,24.  Numeri deludenti,  allineati a quelli della sopracitata CB750 di Honda, ma certamente inferiori a quello che ci si aspettava dalla tanto blasonata Sport.  

Diverse versioni stessa pasta

Durante i 4 anni di produzione furono alla Sport affiancate altre varianti. La 750 GT, lanciata nel 1972, si differenziava principalmente per la configurazione più comoda, pensata per i lunghi viaggi su strada: il manubrio era leggermente rialzato e la sella resa biposto. La 750 SS, evoluzione più aggressiva della Sport, era invece il modello con cui da MV si tentò di rispondere alle “critiche” di cui sopra, ma che, a conti fatti, salvo un’impennata di prezzo motivata dall’adozione di una carenatura integrale e dei freni a disco anteriori in sostituzione dei tradizionali tamburi, ottenne a tal proposito risultati praticamente i dentici a quelli della versione “base”.  Ricordiamo infine, a onor di cronaca, 750 S America del 1975 (foto qui sotto) con una cilindrata aumentata a 789 cm3 e destinata esclusivamente al mercato statunitense. Un modello dal fascino quasi nullo, rimasta nel listino USA fino all’Ottanta nonché ultima quattro cilindri della vecchia guardia. 

Sogni infranti

A conti fatti, la Sport 750 altro non fu che una moto “da rappresentanza”. Bellissima, oltremodo costosa, ma non migliore, in fatto di prestazioni e dotazione, alla già citata CB di Honda o alla Ducati Super Sport 750 derivata dalla vincitrice della 200 Miglia di Imola del 1972 con Paul Smart, all’epoca in listino allo stesso prezzo della MV. A tal proposito, va anche ricordato che, a seguito della morte del Conte Domenico nel 1971, MV passò in mano alla EFIM gestita dallo Stato, già in possesso, in quegli stessi anni, di Ducati e, quindi, poco interessata ad avere due industrie con simili prodotti concorrenti…

Quotazioni: la Ferrari delle due ruote

Da rappresentanza, voluta dal Conte, prodotta in soli 1.000 esemplari e venduta ad un prezzo esorbitante, la 750 Sport rimane una moto per pochi. Anzi, pochissimi. Trovarne in vendita è difficile, mettersene una in garage quasi impossibile. Se proprio volete un numero, vi basti sapere che i pochi esemplari battuti all’asta in anni recenti hanno superato i 100.000 euro…

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