Laverda 500: storia di una splendida incompiuta
Presentata nel 1975, fu accolta come la sportiva che avrebbe rivoluzionato il segmento delle “mezzo litro”. Invece arrivò in ritardo, era troppo cara, pesante e difficile da guidare: certamente una moto raffinata anche se arrivata nel momento sbagliato...

Laverda 500
Nel panorama motociclistico italiano degli anni Settanta, la Laverda 500 era destinata a rappresentare un punto di svolta. Annunciata con entusiasmo e aspettative altissime, venne presentata ufficialmente al Salone di Milano del 1975. Ma, come alle volte accade, tra le promesse e la realtà si inseriscono tempi lunghi, problemi tecnici e un mercato che già allora correva veloce. Per metterla su strada si dovette attendere fino al 1977: due anni di ritardo, tanti bastoni tra le ruote e un destino che, almeno nella teoria, sembrava più fortunato di quanto invece si dimostrò essere nella pratica. Ecco la sua storia…
Un progetto ambizioso
Un articolo dell’epoca apparso su Motociclismo nell’agosto del 1975 la descriveva così: “Una bicilindrica bialbero a quattro valvole con accensione elettronica, avviamento elettrico, cambio a sei marce, tre freni a disco e ruote in lega leggera.” La Laverda sfoggiava una linea affilata, dimensioni compatte e una dotazione tecnica da moto di categoria superiore. A detta della Casa, alcuni prototipi avevano già superato i 100.000 km di test su strada. Purtroppo però, i tanti problemi tecnici riscontrati in fase di sviluppo ed i ritardi nell’allestimento della linea di produzione fecero slittare di diversi mesi il debutto commerciale e, ciò che nel 1975 appariva rivoluzionario, solo due anni dopo rischiava già di sembrare datato.
Una moto raffinata…
Eppure, una volta messa in moto, la Laverda 500 si faceva rispettare. Aveva una linea pulita, sportiva ed elegante insieme, e una qualità costruttiva che si notava al primo sguardo. Le finiture non erano perfette, ma più che sufficienti per restituire l’impressione di una moto solida, ben costruita. Sotto la sella c’era un motore raffinato, con soluzioni tecniche riservate fino ad allora a moto di cilindrata superiore: due alberi a camme in testa, quattro valvole per cilindro, accensione elettronica e addirittura sei marce. Anche i freni erano all’avanguardia: tre dischi che garantivano un’ottima frenata, ben supportata dalle sospensioni Marzocchi, precise e rigide quanto basta per una guida sportiva. La tenuta di strada era eccellente, ma la posizione in sella – con manubrio alto e pedane avanzate – mal si conciliava con la guida aggressiva.
Ma con qualche “problemuccio”
Durante la prova pubblicata da Motociclismo nel 1977, la 500 dimostrò un ottimo spunto, una buona velocità e una stabilità granitica. Il motore, pur non potentissimo (circa 42 CV a 8.000 giri, mai ufficialmente dichiarati), spingeva bene, tanto da raggiungere e superare rapidamente il limitatore anche in posizione eretta, complice una rapportatura del cambio particolarmente corta. Il problema principale erano le vibrazioni, molto avvertibili attorno ai 6.000 giri, e una certa pigrizia ai bassi regimi. Difetti che vennero affrontati -ed in parte risolti - un anno dopo, con l’introduzione di un contralbero di bilanciamento azionato da un pignone sull’albero motore. Altro contro era il peso: 195 kg a secco, decisamente tanti per una 500. Anche se ben distribuito, lasciava addosso la sensazione di avere tra le gambe una moto “grossa”, quasi da turismo più che da sportiva.
Manutenzione complicata
Anche sul piano della manutenzione, la Laverda 500 non era una moto per tutti. Regolare il gioco valvole, ad esempio, richiedeva smontaggi complessi: via il serbatoio, catena di distribuzione, alberi a camme e infine le punterie a bicchiere. Un lavoro lungo e costoso che, spesso, veniva trascurato. Il risultato? Cedimenti meccanici e reputazione rovinata.
Motore, trasmissione e cambio

La Laverda 500 era spinta da un bicilindrico parallelo fronte marcia di 497 cm3, quattro tempi, raffreddato ad aria, con distribuzione bialbero e quattro valvole per cilindro. L’alimentazione era affidata a due carburatori e l’accensione era elettronica. Il motore erogava una potenza stimata di circa 42 CV a 8.000 giri/min, con una curva di erogazione che prediligeva i medi e alti regimi. La trasmissione era a catena, la frizione a comando meccanico, mentre il cambio era a sei rapporti dalla spaziatura ravvicinata. Dal 1978 fu introdotto un contralbero di bilanciamento collegato all’albero motore per ridurre le vibrazioni.
Ciclistica: telaio, sospensioni, ruote e freni
Il telaio della 500 era un doppia culla in acciaio, rigido e ben dimensionato, pensato per garantire precisione e solidità anche alle alte velocità. Le sospensioni erano fornite dalla Marzocchi: all’anteriore una forcella telescopica, al posteriore un doppio ammortizzatore regolabile su forcellone oscillante. Il reparto frenante prevedeva tre dischi, due all’anteriore e uno al posteriore. Le ruote erano in lega leggera a cinque razze, con pneumatici da 18 pollici. Il peso a secco era pari a 195 kg.
Dettagli di stile
Dal punto di vista estetico, la Laverda 500 sfoggiava una linea filante e compatta, con serbatoio affusolato, codino corto e sella monoposto rialzata, in pieno stile anni Settanta. Il cupolino era ridotto all’essenziale e il manubrio alto, impostazione che spesso veniva modificata in aftermarket per migliorare la posizione di guida. Le verniciature erano semplici ma eleganti, con tonalità brillanti come l’arancione tipico della Casa. Completavano il quadro il cruscotto con doppio strumento analogico (contagiri e tachimetro) e piccoli indicatori di servizio sul ponte centrale.
Concorrenza e numeri
In una prova comparativa pubblicata da Motociclismo, la Laverda 500 fu messa a confronto con modelli dell’epoca come Benelli, Ducati, Honda, Suzuki e Yamaha. Più cara della CB Four (e seconda solo alla Benelli 500 LS), riusciva comunque a distinguersi per il miglior tempo sui 400 metri grazie al cambio corto e al peso contenuto. Sul fronte velocità massima, però, si fermava a 170,2 km/h, superando solo la Honda CB Twin (162,4 km/h) e l’enduro Yamaha XT (144,4 km/h). Il consumo, infine, risultava il peggiore della categoria.
Una 350 per salvare la 500

Nel tentativo di aggirare i limiti imposti dalla legge italiana – che vietava ai diciottenni di guidare moto oltre i 350 cm3 – e di contrastare l’effetto della nuova IVA al 35%, a Breganze decisero di realizzare una versione ridotta: la Laverda 350. Derivata direttamente dalla sorella maggiore, con alesaggio ridotto da 72 a 60 mm, adottava un contralbero di bilanciamento, valvole più piccole e un’erogazione più dolce. Le prestazioni erano allineate alla categoria, con una velocità massima di 154,8 km/h, ma il prezzo – ben 2.277.000 lire – rimaneva fuori mercato, soprattutto se confrontato con Ducati, Morini o Guzzi.
Formula Laverda 500

Nel 1978, la Laverda 500 diede vita a un Campionato monomarca promosso dalla Federazione Motociclistica Italiana, riservato a piloti giovani e senza piazzamenti di rilievo precedenti che prevedeva sei gare su circuiti prestigiosi come Misano, Imola, Pesaro e Mugello. La base era la 500 di serie, a cui venne dedicato un modello speciale chiamato Formula Laverda, preparato per le corse con poche modifiche estetiche e meccaniche. La moto, più leggera e potenziata, dimostrò subito un grande potenziale, regalando prestazioni da cilindrate superiori, con circa 60 CV e punte vicine ai 200 km/h. La Formula si distingueva dalla versione stradale anche per l’adozione di una monoscocca in vetroresina, che alleggeriva la moto da 175 a 158 kg, e per il manubrio a due pezzi e le pedane arretrate, che favorivano una guida sportiva. Gli scarichi erano più liberi e privi di compensatori, mentre i carburatori, elasticamente montati, permettevano una regolazione flessibile del getto massimo. Dal punto di vista meccanico, il motore venne aggiornato con pistoni più leggeri, alberi a camme dal profilo più spinto, e soprattutto l’introduzione di un albero controrotante per ridurre le vibrazioni.
Nel 1979, al Salone di Milano, venne presentata la Laverda 500 Montjuich, versione ancora più sportiva della Formula, con semi carena e sella monoposto, pensata per le gare di durata come la 24 Ore di Barcellona, vinta proprio con la Montjuich.

Una storia mancata
Oggi la Laverda 500 è ricordata come una moto audace, raffinata, ma vittima di scelte sbagliate e tempi sbagliati. Troppo cara, troppo avanti, troppo difficile da guidare e mantenere. Eppure, per chi la conobbe davvero, rimane una delle sportive italiane più affascinanti e sottovalutate del suo tempo. Un’outsider nata per competere con le grandi, ma rimasta, suo malgrado, una splendida incompiuta.
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