Kawasaki Zephyr 400, quando la passione batte l’ufficio marketing
Il reparto marketing non era affatto sicuro ma l’idea Naoyuki Nakajima si rivelò vincente. Agile, comoda, economica e leggera, la Kawasaki Zephyr 400 fece letteralmente impazzire i clienti giapponesi
Un avvio in salita
Nel 1986, mentre le GPZ e le altre carenate dominavano il mercato, Naoyuki Nakajima — in Inghilterra come responsabile marketing di Kawasaki Motors Japan — tornò in Giappone con una proposta audace: un’edizione limitata di 1.000 esemplari della leggendaria Z1. L’idea piacque, ma il progetto venne in breve bocciato a causa degli enormi costi degli stampi, stimati in oltre 2 milioni di yen. Nakajima non si diete per vinto e, riorganizzate le idee, subito mise sul tavolo un’altra proposta: una 400 cm3 alla “vecchia maniera”, raffreddata ad aria, economicamente accessibile e, non meno importante, comoda. Intendiamoci: le GPZ400R si vendevano all’epoca quasi da sole, ma i concessionari raccontavano di clienti affaticati dalla posizione di guida troppo caricata e dalla sella, dura e scomoda.
Nome in codice project 999

Col code-name 999, il progetto arrivò sul tavolo di Takeshi Yoshida, capo sviluppo prodotto. Le linee guida erano chiare: esaltare il motore, che doveva essere un quattro cilindri raffreddato ad aria, linee essenziali, che mettessero in risalto telaio e meccanica, una coppia bella piena ai medi regimi, una posizione di guida rilassata, adatta a tutte le corporature e costi di gestione contenuti grazie ad una manutenzione minima e componenti ben collaudati.
Nasce la “Zephyr”
Nonostante il via libera tecnico, nel reparto marketing regnava lo scetticismo: fino al mock‑up finale, nessuno era convinto del successo che avrebbe potuto riscuotere la piccola quattrocento. Lo stile della Zephyr richiama volutamente quello della storica Kawasaki Z1, con sospensioni posteriori a doppio ammortizzatore, posizione di guida piuttosto eretta e motori raffreddati ad aria, ma c’erano ancora dei dubbi. Fu solo grazie a un’agenzia pubblicitaria americana, coinvolta all’ultimo minuto per suggerire nomi, che emerse quello di “Zephyr”, parola che evocava secondo gli esperti brezza, leggerezza e rapidità. Il nome perfetto per una naked votata al piacere di guida.
Motore, cambio e trasmissione
Il motore della Zephyr, strettamente imparentato con quello della Z400, era il quattro cilindri in linea DOHC raffreddato ad aria con due valvole per cilindro con alesaggio corsa 55 × 42 mm per 399 cm3 ed una potenza di 49 CV a 11.000 giri/min. L’accensione era elettronica, la frizione multidisco in bagno d’olio, il cambio a 6 marce e la trasmissione finale a catena.
Telaio, sospensioni, ruote e freni
Al telaio a culla in tubi d’acciaio era abbinata una forcella telescopica anteriore e doppi ammortizzatori posteriori. L’impianto frenante si componeva di un doppio disco anteriore e disco singolo posteriore, mentre i cerchi in lega erano calzati da pneumatici 110/80‑17 all’anteriore e 140/70‑18 al posteriore. Il tutto per un peso a secco 179 kg, a cui si aggiungevano i 14 litri di carburante.
Vendite clamorose
Nel giro di poche settimane, l’intero reparto marketing non potè far altro che ricredersi.
Se le previsioni interne parlavano di appena 1.500 unità annue, poco dopo il lancio la Zephyr 400 si dimostrò un vero successo: 7.300 modelli venduti solo nel 1989, 13.499 nel 1990, 16.200 nel 1991, 16.900 nel ’92 ed ulteriori 13.000 nel 1993. Risultato? Tra il 1990 e il 1992 la Zephyr 400 fu il modello più venduto del segmento 400 cm3 mentre le sportive carenate, fino a quel momento al vertice della classifica, cominciarono progressivamente a perdere quota. In tutto questo, la 400 funse anche da apripista alla rinascita “neo‑classica” di serie come le ZRX, W650 ed Estrella.
La “nostra” 750 e le altre cilindrate

Mentre la 400 fu commercializzata solo in Giappone, in Europa, Kawasaki puntò tutto sulla Zephyr 750, versione con motore maggiorato e carenature più estese per un look meno “essenziale”. Tra peso aumentato (sfiorava i 220 kg in ordine di marcia) e un prezzo superiore, il successo tuttavia non si ripeté: al contrario, la nostra 750 si rivelò di fatto una scelta che il mercato non premiò. Discorso analogo per sorellona da 1100 cm3 equipaggiata con una versione rielaborata di un’unità originariamente raffreddata a liquido (l’unico motore della gamma dotato di due candele per cilindro).
Se il motore della Zephyr 750 tornò sul mercato alla fine degli anni ’90 montato sulla altettanto poco fortunata ZR7, nell’ultimo anno di produzione, la Zephyr 1100 fu oggetto di un restyling ispirato alla Z1, con il ritorno ai cerchi a raggi, montati anche sulla 750. Il suo posto nella gamma Kawasaki fu preso dalla ZRX1100, ispirata alla Z1100R, che poi diventà ZRX1200. Ma quella è un’altra storia…