Salta al contenuto principale

Giuseppe “Naco” Guzzi, il fratello dimenticato che rese elastiche le Guzzi

Ingegnere civile e motociclista instancabile, Giuseppe “Naco” Guzzi,  fu l’artefice di alcune delle innovazioni più decisive nella storia di Moto Guzzi. Un uomo “enorme” ma discreto che tra raid epici e ingegno tecnico, trasformò un guasto in una delle soluzioni tecniche più strabilianti del marchio 

Giuseppe “Naco” Guzzi

Genio discreto, uomo d’officina e d’ufficio, progettista civile e motociclista di razza. Giuseppe Guzzi - detto Naco in famiglia - resta una figura spesso “dimenticata” dalla grande narrazione Guzzi, nonostante a lui si debbano alcune tra le svolte più decisive nella storia tecnica della casa di Mandello. Nato il 6 agosto 1882, laureato in ingegneria civile al Politecnico di Milano, Naco fu il fratello “altro” di Carlo: meno mondano, più rigoroso, e capace di trasformare un guasto in cima ai Carpazi in una soluzione che avrebbe cambiato il corso della ciclistica. Ecco la sua storia…

Le radici: la famiglia, gli studi e i primi impieghi

Figlio dell’ingegner Palamede Guzzi - docente, inventore e imprenditore milanese - Giuseppe eredita non solo il cognome ma anche lo studio e la vocazione per la progettazione. Dopo la laurea subentra nello studio paterno nel 1906, insieme al socio storico Valentino Ravizza, proseguendo un’attività che spazia dalla produzione di dinamica elettrica fino alla tutela della proprietà intellettuale. Lo studio “Ingg. Guzzi e Ravizza & C.” agirà per decenni anche come referente tecnico e depositante di brevetti per la S.A. Moto Guzzi: una presenza discreta ma fondamentale nel retroterra tecnico-legale dell’azienda. Giuseppe però non è un dipendente a tempo pieno della fabbrica di Mandello: pur collaborando intensamente con la Moto Guzzi, firma e realizza opere pubbliche - ponti, viadotti, capannoni, la centrale idroelettrica dello Zerbo - mantendo una propria autonomia professionale, divisibile fra incarichi civili e prestazioni su chiamata per la casa motociclistica “gestita” dal fratello. 

Paradoxum hominis: ritratto di un uomo straordinario

Qui i documenti storici sono per forza di cose carenti. Quel poco che sappiamo di Naco e del suo carattere è frutto di racconti, testimonianze (ormai indirette), aneddoti e appunti sparsi: quanto basta per fare nel nostro racconto il ritratto di un uomo - avrebbero detto gli storici latini - “paradossale”. 
Naco non somigliava a Carlo né nei modi né nell’aspetto. Le cronache raccontano di un uomo “grande e grosso”, con piedi smisurati che “facevano tremare il pavimento quando camminava” e dita così robuste da “non poter comporre i numeri al telefono” e da costringerlo a impugnare la matita con mozziconi calzati tra pollice, indice e medio. Dotato di una memoria ferrea, capace, dicono i documenti, di ripetere senza esitazioni leggi e articoli del codice civile, ma sofferente moltissimo del caldo tanto che d’estate lavorava in mutande.  Nel suo ufficio a Mandello creò un primordiale sistema di condizionamento facendo correre a serpentina tubi d’acqua lungo le pareti per raffreddarle.  Proprio questa sua incapacità di sopportare le temperature elevate lo portò a compiere tanti raid estivi in motocicletta nelle zone del Nord Eurppa...

Si narra che un giorno uscito dal cancello della fabbrica, con gli operai sulla soglia a salutarlo, forò una gomma nel sottopasso della ferrovia che immette sulla statale. Gli operai accorsero offrendosi di riparare lo pneumatico ma lui li fermò. “Sono già partito” affermò “durante il viaggio tocca a me sbrigarmela! Andate al lavoro che qui ci penso io!” E così fece...

 Piccole ma significative “caratteristiche” la cui combinazione rendono Carlo una figura quasi “mitica”: ascetico rispetto al fratello Carlo - che al contrario viene nelle varie biografie raccontato come una  “donnaiolo” dall’animo mondano, dal carattere riservato, ma pronto a gettarsi in grandi imprese. Le targhe sul parafango della sua Sport 500 raccontano raid memorabili - da Mandello a Parigi (1923), fino a Mandello-Stoccolma-Lapponia-Oslo-Berlino (1928) e oltre, con chilometraggi che raggiungono punte come i 6.200 km del viaggio scandinavo.

Il guasto sui Carpazi e l’intuizione che cambiò la ciclistica

È il 1926: Naco, in viaggio sui Carpazi, rompe il telaio rigido della sua Sport. Non si ferma: con vecchie coperture e camere d’aria riesce a collegare il triangolo posteriore alla zona della sella e allo zoccolo del motore. Il comportamento della moto gli appare subito migliore. Da quell’esito improvvisato nasce l’idea di una moto “elastica”, un progetto che non replica le soluzioni dell’epoca (ruote “guidate” che perdevano gioco e diventavano pericolose) ma muove tutto il retrotreno. Al tecnigrafo Naco disegna il forcellone oscillante e una soluzione di sospensione basata su un pacco di molle collocato sotto il motore. Circa una trentina, disposte in modo progressivo: le più morbide entravano per prime in azione, poi, andando a pacco, coinvolgevano le più dure. Nasce così, sulla base della Sport 500 del 1926, la GT 500: il primo esempio di telaio “molleggiato” proposto da Moto Guzzi.

Norge: il molleggio è sportività

Sull’onda dell’entusiasmo popolare per il volo di Umberto Nobile e Amundsen con il dirigibile Norge nel 1926, il modello di Naco fu ribattezzato Norge, ovviamente pronunciato all’italiana, come raccontano le cronache. La moto di Naco era un pezzo unico e fortemente personalizzato: un tubo trasversale sotto il faro per riporre carte e mappe, una fondina per la pistola sul lato destro, un robusto cavalletto laterale e ganci ovunque. Una moto attrezzata, col cavalletto centrale - viva la praticità - che poteva essere azionato da entrambi i lati. La diffidenza iniziale verso le sospensioni posteriori, ritenute “antisportive”,  si scontrò con i risultati: la GT e le versioni molleggiate dimostrarono prestazioni e affidabilità tali da convincere la casa a proporre tutti i modelli in versione molleggiata. I numeri di produzione della Norge non mentono: 75 esemplari civili e 245 militari, per un totale di 320 veicoli
La conferma definitiva dell’efficacia della scelta tecnica arriva nel 1935: Moto Guzzi partecipa al Tourist Trophy con moto molleggiate e conquista la vittoria in entrambe le categorie grazie a Stanley Woods. È la prima volta che una moto straniera vince il TT e l’eco mondiale di quel successo sfata la convinzione che il molleggio fosse contrario alla sportività. Non per nulla, da quell’anno molte case nel mondo adottarono la stessa soluzione. 

La morte e l’eredità di Naco

Negli anni ’50 Naco aggiorna ancora la sua moto: monta il motore - che poi è lo stesso della Sport 500 del 1926 - su un telaio GT16 modificato per vedere “fino a quando sarebbe durato”. Più di lui: Naco muore il 14 giugno 1962, all’età di 80 anni, due anni prima del fratello Carlo. La sua moto è stata preservata, donata dalla vedova di Ulisse Guzzi (figlio di Carlo) al Moto Club Carlo Guzzi di Mandello, dov’è tuttora conservata.

Parlando di Guzzi e uomini geniali: Lino Tonti: il genio del telaio che sussurrava alle Guzzi 

Aggiungi un commento
Mihawk
Ven, 12/12/2025 - 19:23
Storia incredibile. Un grazie enorme alla redazione per l'articolo.