Benelli e l'era De Tomaso: il rilancio e la sfida dei nuovi modelli
Attanagliata da una pesante crisi finanziaria, nei primi anni Settanta Benelli tenta il rilancio con l’arrivo di De Tomaso. Nascono nuovi modelli come la Scrambler, la Turismo e la Cross 125. Penalizzati dalla fretta e dagli scarsi investimenti, i risultati saranno “mediocri”…
Crisi e rilancio della Benelli
All’inizio degli anni Settanta, Benelli – insieme alla consociata MotoBi – si trova in una situazione critica, esattamente come molte delle gloriose Case motociclistiche del Centro Italia, che per decenni avevano fatto sognare gli appassionati. Mancano i fondi per pagare fornitori, le banche bloccano i finanziamenti e soprattutto mancano progetti nuovi e concreti capaci di invertire la rotta. I magazzini pieni di moto pronte a partire vengono sequestrati dai creditori, in un circolo vizioso dal quale sembra impossibile uscire: senza vendite, niente soldi; senza soldi, niente ripresa. Urge una soluzione. La speranza è tutta nell’arrivo di un nuovo proprietario che porti risorse fresche e voglia di rinnovamento. Nel 1971 il destino della Casa cambia con l’ingresso dell’imprenditore/pilota italo-argentino Alejandro De Tomaso, già noto per le sue auto sportive come la Mangusta, la Pantera o la Deauville. Per Benelli si apre un nuovo capitolo, destinato a passare alla storia come quello dell’era De Tomaso.
L’era De Tomaso: si cambia rotta
De Tomaso è uomo dal carattere forte e deciso, iperattivo e spregiudicato, pronto a imporre la sua linea senza mezze misure. Convoca subito il direttore tecnico Piero Prampolini e gli ordina di mettersi all’opera su una gamma di modelli che possa coprire tutte le esigenze: scooter, motori a 4 tempi pluricilindrici di media e grossa cilindrata e mono e bicilindrici a 2 tempi per piccole cilindrate. Ha ben capito dove sta andando il mercato: le quattro cilindri giapponesi stanno spopolando in Europa, mentre i ciclomotori e le moto leggere da fuoristrada diventano sempre più richiesti dai giovani. Il problema però è il metodo: rapidità e risparmio sono le parole d’ordine imposte dal nuovo capo. Parole che tuttavia, come vedremo, raramente rimano con con “qualità”…
La sfida del fuoristrada e il boom dei 50 cm
Benelli aveva già provato, prima dell’arrivo di De Tomaso, ad entrare nel mercato off-road con modelli come il Trial 49 e lo Sprint 5V presentati al Salone di Milano del 1969. Due moto con caratteristiche tecniche interessanti, quali ad esempio l’accensione elettronica, la testata radiale, il cambio a 5 marce, la forcella teleidraulica e la ruota anteriore da 19”, ma stoppate dalle difficoltà aziendali a cui accennavamo poco più sopra. Nel 1971, il Salone di Milano vede la rinascita con una nuova gamma off-road, la Scrambler e la Turismo. Entrambe si basano sui modelli del ’69, aggiornati esteticamente e tecnicamente. La Scrambler, con telaio a doppia culla, forcella Marzocchi e colori vivaci, conquista il pubblico giovane, mentre la Turismo si rivolge a chi cerca comodità e stile più sobrio, con una posizione di guida rilassata e serbatoio bicolore. Parallelamente nasce anche la Cross 125, moto da fuoristrada più “seria” rispetto alle piccole 50 cm3, pensata per chi desidera una moto da regolarità e non solo un giocattolo per il weekend.
Cross 125: luci e ombre di un progetto frettoloso
La Cross 125, come tutta la gamma, è frutto di un progetto rapido e a basso costo: per contenere le spese si riutilizza ad esempio il carter del 50 cm3 con qualche modifica. Il risultato è una moto che piace ma non entusiasma. La ciclistica è semplice ma “onesta”, la linea gradevole anche se poco grintosa il motore meno potente di quanto promesso. Durante la prova su strada la 50 si rivela “più che soddisfacente per chi si avvicina per la prima volta al fuoristrada”, con dettagli azzeccati come la marmitta alta con griglia paracalore, una sella ben imbottita e una verniciatura vivace. Ma non mancano le pecche: ammortizzatori rigidi e non regolabili, cambio con marce invertite, gomme di “compromesso”. Contrariamente a quanto sperato, la Cross 125 si dimostra poco adatta per la competizione, ma indicata per chi vuole una moto per “scappare sui campi la domenica”, senza pretese agonistiche. Competitivo il prezzo.
Com’era
Il gruppo termico prevedeva alesaggio e corsa maggiorati rispetto al 50, per ottenere una potenza di circa 7,5 CV a 7.200 giri/min. Il carburatore VHB 20 BS sostituiva il più piccolo SHA 14/12 utilizzato sulle versioni da 50 cm3, migliorando l’erogazione. La trasmissione prevedeva un cambio a cinque marce, con innesti un po’ lunghi e posizionati a destra, scelta poco comune e non sempre gradita dagli utenti abituati a configurazioni standard. La ciclistica si basava invece su un telaio a doppia culla in tubi d’acciaio, robusto ma semplice, progettato per garantire affidabilità e facilità di manutenzione, abbinato ad una forcella anteriore telescopica Marzocchi davanti e dietro, ad monoammortizzatore, anch’esso non regolabile, con sospensioni tarate per un uso leggero. I freni erano modesti, con impianti a tamburo, mentre le ruote montavano pneumatici dal disegno non ottimale per l’off-road, con un anteriore da strada e un posteriore scolpito ma di tipo ormai datato.
Ultimi tentativi e la fine di un’epoca
Complici la spietata concorrenza ed il mercato ormai saturo dominato da marchi consolidati come Fantic, Gilera, Aspes e KTM, nel 1974 Benelli prova a rilanciare con la 125 Turismo, moto economica per l’uso urbano, e il Magnum 50, ciclomotore dalle ruote larghe e dallo stile ispirato al Fantic Super Rocket. Nonostante qualche caratteristica interessante, anche questi modelli non riescono però a imporsi sul mercato. Il restyling del 1977 porta aggiornamenti importanti: nuovo telaio, sospensioni migliorate, marmitta sopra la testa del motore, parafanghi in plastica, estetica più moderna e una versione Enduro più cattiva. Sono però gli ultimi bagliori di una stirpe che, pur senza successo commerciale, ha segnato un decennio significativo nella storia della Benelli. E così, tra alti e bassi, la produzione dei monocilindrici 50 e 125 cm3 da fuoristrada si conclude nel 1981, dopo meno di 50.000 esemplari totali, compresi quelli a marchio Moto Guzzi. Una parabola che racconta bene la difficile transizione tra la vecchia gestione e l’era De Tomaso: tante ambizioni e intuizioni corrette, ma spesso penalizzate da fretta, scarsi investimenti e una concorrenza più rapida e aggressiva.