Motore quattro cilindri in quadrato: perché fece furore nei Gran Premi e perché sparì
È uno schema ormai dimenticato ma in passato ebbe successo nelle corse e anche su moto stradali. Ecco pregi, difetti e le sue evoluzioni
Al giorno d’oggi la soluzione di un motore quattro cilindri in quadrato è caduta nel dimenticatoio, ma ci sono stati tempi in cui venne usata per un modello stradale di grande pregio, e successivamente addirittura furoreggiò nelle competizioni della classe 500 GP, venendo adottata o almeno provata da quasi tutti i maggiori costruttori.
Un’idea di 100 anni fa
Fu il progettista britannico Edward Turner a disegnare quasi 100 anni fa un motore a quattro tempi con i cilindri in quadrato, che essenzialmente era l’unione di due bicilindrici. Lo vendette alla Ariel, marchio britannico allora molto quotato, che lo mise in produzione realizzando la Square Four. Modello di grande prestigio oggi molto ricercato dai collezionisti. I cilindri erano riuniti in un blocco unico e gli alberi motore erano due, uno per la bancata anteriore e uno per quella posteriore, collegati da volanti dentati. Ognuno dei due alberi aveva le manovelle a 180° e salivano simultaneamente i due pistoni in diagonale, così che ne risultava un ordine di scoppio analogo a quello di un quattro cilindri in linea, ma con il vantaggio di un eccellente bilanciamento.
L'Ariel Square Four è stata la prima moto di serie con motore 4 cilindri in quadrato
Il design in quadrato riduceva molto gli ingombri, inferiori a quelli di un motore a V (più lungo) oppure in linea (più largo), ed era molto apprezzato. La Ariel lo produsse per una trentina d’anni, fino al 1959, e lo vendette anche ad altri costruttori.
Ecco come si presenta il blocco cilindri della Ariel Square
Non mancavano i problemi
Però poteva andar bene solo per quei tempi: aveva un bel tiro in basso ma era costoso da produrre, inoltre poiché il raffreddamento era ad aria i cilindri posteriori non venivano investiti dalla corrente refrigerante e soffrivano problemi di surriscaldamento. C’era un altro problema ancora maggiore: una disposizione del genere lasciava poco spazio per i sistemi di alimentazione e di scarico, dunque poteva andare bene per potenze ridotte e regimi di rotazione modesti, ma quando i concorrenti cominciarono ad alzare l’asticella fu necessario passare a schemi differenti.
Nelle corse con Suzuki fu un successo
Il quattro cilindri in quadrato ebbe molta più fortuna nelle corse: il primo esperimento fu della Suzuki alla fine del 1963, con la 250 RZ 63 che era decisamente la moto più potente della sua classe. Ebbe però poco successo a causa dell’erogazione scorbutica e delle difficoltà di messa a punto della carburazione, oltre ai guai di accensione.
La prima moto da corsa 2 tempi con motore in quadrato è stata la 250 RZ del 1963
Il quattro cilindri in quadrato tornò prepotentemente nel 1974, sempre ad opera della Suzuki, e questa volta fu un grande successo. Il raffreddamento a liquido eliminava i problemi di surriscaldamento della bancata posteriore e la disposizione in quadrato consentiva di avere una distribuzione a dischi rotanti disposti lateralmente, uno ad ogni estremità dell’albero motore, cosa che sarebbe stata impossibile con un quattro cilindri in linea. La sporgenza dei carburatori però aumentava sensibilmente la larghezza. La prima RG 500 aveva cilindri e alberi motori indipendenti, cioè praticamente erano quattro motori monocilindrici raggruppati in un unico basamento, ed erogava una novantina di cavalli. Aveva misure di alesaggio e corsa 56 X 50,6 mm, ma nel 1976 venne portata a 54 X 54 mm e la potenza arrivò intorno ai 110 CV a 11.000 giri/minuto. Nello stesso anno vennero allestite anche una cinquantina di repliche per i privati, ancora con il motore 56 X 50,6 mm, che vennero vendute in tempi brevissimi. Non c’è da stupirsi, perché in quel periodo non era disponibile nulla di altrettanto competitivo e i privati dovevano arrabattarsi con soluzioni spesso fantasiose.

La Suzuki RG 500 portò al successo nelle gare lo schema dei 4 cilindri in quadrato
I titoli mondiale con Sheene Lucchinelli e Uncini
Le moto in vendita ai privati diventarono 54 X 54 mm l’anno successivo, e nel frattempo quelle ufficiali vinsero il titolo mondiale nel 1976 e 1977 con Barry Sheene. Il quattro cilindri in quadrato Suzuki andò avanti fino al 1983, naturalmente con varie evoluzioni e riprogettazioni del motore. Nel 1981 la XR 35 ufficiale era arrivata a 130 CV e Lucchinelli la portò al titolo mondiale, mentre nel 1982 fu la volta di Franco Uncini che portò la Suzuki 500 con i cilindri in quadrato al suo ultimo titolo iridato.
La Suzuki RG 500 Gamma con cui Lucchinelli conquistò il titolo mondiale
Dal 1983 il declino
Nel 1983 la competitività si era molto ridotta e appariva evidente che la strada portava verso i motori con ammissione lamellare. La Suzuki abbandonò l’impegno ufficiale, ma continuò a vendere le 500 ai privati fino al 1984, e produsse ricambi e aggiornamenti per tre anni.
Il motore quattro cilindri in quadrato a dischi rotanti tornò nel 1985, ma su un modello stradale, quando in risposta alla Yamaha RD 500 – che però aveva i cilindri a V e l’ammissione lamellare – la Suzuki lanciò la RG 500 Gamma, che aveva molte soluzioni costruttive analoghe a quelle delle sue vecchie moto da Gran Premio. Alesaggio e corsa erano 56 × 50,5 mm e la potenza era di 95 CV a 10.000 giri/minuto, per l’epoca decisamente rilevante.
La mitica RG 500 Gamma stradale aveva motore 4 cilindri in quadrato 2 tempi
Gli altri ebbero meno fortuna
Altri costruttori usarono con minor fortuna motori quattro cilindri in quadrato nel mondiale 500 GP: nel 1979 la Kawasaki con la sua KR 500 (qui sotto), che corse fino al 1982 ma senza ottenere grandi risultati.
Negli stessi anni, dal 1979 al 1982, la Morbidelli realizzò il suo quattro cilindri in quadrato con il quale corsero Graziano Rossi e Gianni Pelletier, anche in questo caso senza grossi acuti.
La Morbidelli 500 portata in pista da Graziano Rossi non ebbe fortuna
Era quattro cilindri in quadrato anche la Cagiva 500 da Gran Premio 3C2 del 1982, arrivata a una potenza di 125 CV a 11.500 giri/minuto, che corse fino al 1984. Architettura analoga per la Sanvenero 500 schierata da un industriale pesarese nel 1981 e 1982, anno in cui il pilota svizzero Michel Frutschi la portò alla vittoria nel Gran Premio di Francia, disertato però da tutti i big per le disastrose condizioni dell’asfalto di Nogaro.
La Sansevero 500 vinse il GP di Francia
Infine la Yamaha: anche la Casa dei tre diapason corse con un quattro cilindri in quadrato a partire dal 1981, con la OW54, seguita poi dalla OW60, ma già nello stesso anno, il 1982, quest’ultima venne sostituita dalla OW61 che aveva i cilindri a V.
La Cagiva 500 da Gran Premio 3C2 del 1982
Con le lamelle niente quadrato
Successivamente si sarebbero diffusi i motori con l’ammissione lamellare e i cilindri a V, perché le lamelle consentivano un’erogazione meno scorbutica e in mezzo alle due bancate di cilindri c’era il posto per inserire i carburatori in batteria, restringendo notevolmente la larghezza del propulsore. E a quel punto il quattro cilindri in quadrato passò alla storia.
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