Yamaha GL 750, ovvero il sogno proibito di Iwata
All’inizio degli anni Settanta, Yamaha immaginò una maxi due tempi capace di riscrivere le regole del mercato americano. Il quattro cilindri in linea della GL 750 avrebbe “sbaragliato” la concorrenza di Honda e Kawasaki, ma le sempre più severe leggi anti inquinamento USA bloccarono questo sogno
Yamaha GL 750
Doveva essere l’arma definitiva di Yamaha, un modello destinato a conquistare il mercato americano - e mondiale - dei primi anni Settanta. Una quattro cilindri in linea a due tempi, raffreddata a liquido e dotata di iniezione meccanica: in poche potevano vantare soluzioni così avanzate e la GL 750 sembrava pronta a rivoluzionare le maxi stradali dell’epoca. Invece, vittima - come altre (tra cui la Kawasaki Square Four 750 - delle nuove norme antinquinamento americane, il progetto fu abbandonato ancor prima di entrare effettivamente in produzione. Cominciata con la presentazione al Salone di Tokyo del 1971, la storia della GL 750 s’interruppe subito dopo, relegando all’oblio quella che, se fosse nata, sarebbe stata una delle moto più eccezionali di tutti i tempi…
Il contesto: l’America come sfida
All’inizio degli anni Settanta, il mercato statunitense era il più importante al mondo. Honda, Kawasaki, Suzuki e Triumph dominavano le strade con le loro maxi stradali, mentre Yamaha, pur avendo costruito una solida reputazione con i due tempi di piccola cilindrata, restava indietro. Il Tokyo Motor Show del 1968 segnò l’inizio di un cambiamento epocale: Honda sorprese tutti con la CB750 e Kawasaki con la H1 500. Yamaha, invece, scelse ancora una volta di puntare su soluzioni di ispirazione britannica con la bicilindrica quattro tempi XS1 650. Un buon prodotto, ma non abbastanza per sfidare le rivali. Presentata un anno più tardi, la Suzuki GT 750, tricilindrica due tempi raffreddata liquido mostrò la strada da seguire. Così ispirata, la succursale USA di Yamaha rivolse precise richieste ai tecnici di Iwata: serviva una maxi originale, potente, capace di correre anche a Daytona e di conquistare i motociclisti americani. L’idea era chiara: nessun clone delle inglesi, ma una moto che potesse competere con Honda CB750, Suzuki GT 750 e Kawasaki H2. Nascono così due progetti paralleli: uno stradale, l’altro da corsa, entrambi con motore quattro cilindri in linea raffreddato a liquido e cilindrata massima di 750 cm3 secondo le regole AMA della Formula 750.
Un progetto stradale ed un progetto da corsa
Il progetto stradale, codice interno YZ 401, nasce combinando due bicilindri YR5 350. I basamenti vengono saldati mantenendo separate le camere di manovella, mentre i cilindri sono raffreddati ad acqua con sistema closed deck, caratterizzato da passaggi rettilinei e da un anello cavo alla base che mette in comunicazione le camere. La prima versione sviluppa 694 cm3 (alesaggio/corsa 64x54 mm), mentre una seconda versione maggiore raggiunge 743 cm3 (alesaggio/corsa 65x56 mm).
Il motore da corsa invece, sviluppato in parallelo con codice YZ648, diventerà la TZ 750 A da Formula 750. Anch’esso è un quattro cilindri in linea raffreddato a liquido, con manovellismo a 180°, sequenza degli scoppi 1-4-2-3 e contralbero antivibrazioni per guidare correttamente il pignone della trasmissione finale. La versione da corsa utilizza un cambio a sei rapporti, mentre la stradale mantiene il classico cambio a cinque, con ingranaggi sempre in presa e frizione multidisco in bagno d’olio. Tra le soluzioni più innovative della GL 750 ci sono l’ammissione lamellare, ripresa dalle competizioni, e l’iniezione meccanica, sviluppata internamente da Yamaha.
La tecnica
Come accennato, il motore era un quattro cilindri in linea frontemarcia, due tempi, raffreddato a liquido con pompa meccanica e alesaggio per corsa 65x56 mm per una cilindrata di 743 cm3. Dotata di accensione elettronica, aveva una frizione multidisco in bagno d’olio con comando meccanico a 5 marce con ingranaggi sempre in presa ad innesti frontali. Con un peso di 205 kg a pieno carico, la GL 750 risulta più leggera rispetto alle concorrenti, ma la potenza dichiarata di circa 70 CV a 7.000 giri è già superiore a Honda CB750 (67 CV a 8.000 giri) e Suzuki GT 750 (65 CV a 6.500 giri), pur restando leggermente inferiore alla Kawasaki H2 750, che colo suo tre cilindri due tempi a raffreddamento ad aria, raggiungeva i 74 CV a 7.800 giri.
A livello ciclistico, la GL 750 era praticamente identica alla futura TX 750: telaio doppia culla chiusa in tubi d’acciaio, forcella telescopica da 35 mm non regolabile, ammortizzatori posteriori con precarico molla regolabile. L’impianto frenante è potente: anteriori due dischi da 298 mm con pinze a singolo pistoncino, posteriore un tamburo a camma da 200 mm.
Il look
Dal punto di vista stilistico, la GL 750 era una moto avanti anni luce rispetto alla concorrenza dell’epoca. Le prime immagini del 1971 mostrano una maquette in scala 1:1, realizzata in argilla e legno, sulla quale Yamaha monta ruote, freni e sospensioni della XS1 650. Sulle fiancate compare la sigla GL 800, indicazione di pura fantasia, utile solo a rafforzare l’idea di una maxi senza compromessi. La versione definitiva presentata al Tokyo Motor Show del 1971 adotta una linea compatta e muscolosa, equilibrata nelle proporzioni nonostante l’architettura del quattro cilindri in linea. Serbatoio, fianchetti e strumentazione riprendono quelli della futura TX 750, ma l’insieme appare più moderno e aggressivo, complice anche la presenza del termometro dell’acqua in plancia, dettaglio allora rarissimo su una moto stradale.
Le prime prove e i limiti della GL
Quando la GL 750 inizia a girare, tra banco prova e strada, è chiaro a tutti di avere tra le mani qualcosa di profondamente diverso da qualsiasi altra maxi dell’epoca. Il quattro cilindri in linea è un concentrato di soluzioni avanzate, ma proprio questa complessità mette subito in luce i suoi punti critici. I primi prototipi vengono testati inizialmente con alimentazione a carburatori, mentre l’iniezione meccanica - di fatto uno degli elementi più ambiziosi del progetto - fatica a dare i risultati sperati. I collaudatori riferiscono di un’erogazione irregolare e “a singhiozzo” e dell’impossibilità di mantenere una pressione costante all’interno delle camere al variare del regime di rotazione. A complicare ulteriormente il quadro intervengono le brusche aperture e chiusure dell’acceleratore, che mettono in crisi la seconda pompa del sistema di iniezione, che fatica a dosare correttamente il flusso di carburante verso gli iniettori, con ripercussioni non solo sulla regolarità di funzionamento, ma anche sull’affidabilità complessiva dell’impianto. Difetti che, per quanto gravi (anche se risolvibili) non furono loro a ostacolare (o meglio, a impedire) la commercializzazione della GL.
Il colpo gobbo del Clean Air Act
Sulla carta, c’erano tutti i numeri necessari a raggiungere l’obbiettivo e battere la concorrenza. Nella pratica però il tempismo si rivelò sbagliato. Nel 1972 entra in vigore la prima stretta sulle emissioni, sfociata nel Clean Air Act, con l’obbligo dal 1975 di marmitta catalitica anche per i motori a due tempi. Uno scoglio insormontabile: mai il motore della GL 750 avrebbe rispettato le nuove norme senza interventi drastici. Con amarezza e delusione, la filiale americana della Yamaha segnala il pericolo e la Casa di Iwata decide di abbandonare il progetto stradale, concentrandosi solo sulle maxi quattro tempi. La versione da corsa, omologata con 200 esemplari, prosegue il suo percorso, dando vita alla TZ 750 A e ai successi nella Formula 750.
La triste fine di un mito incompiuto
Nonostante l’abbandono, i collaudi dei prototipi continuano fino al 1972: alcune GL 750 con carburatori vengono avvistate sulla pista di Fukuroi, mentre il prototipo esposto a Tokyo trova un’ultima apparizione al Salone di Parigi per volontà dell’importatore francese Jean Claude Olivier. Nel 1973 nuove maquette testimoniano un lavoro continuativo, collegato alla futura TZ 750 A. Vane speranze: alla fine tutte le GL 750 rimaste (cioè i due prototipi prodotti) vengono accantonate negli stabilimenti di Iwata insieme al materiale del reparto Ricerca e Sviluppo. Ma c’è dell’altro: come se la sorte della promettente GL non si fosse già dimostrata sufficientemente triste, quando alla fine degli anni Novanta nacque il Communication Plaza di Iwata, la 750 non trovò nemmeno posto nel museo. Povera GL, esclusa dal mercato e pure dalla storia…