Ossa: storia delle mitiche Super Pioneer
Belle, ben fatte ed inarrestabili: le Super Pioneer di Ossa regnarono (quasi) incontrastate negli anni Settanta, per poi scomparire alla luce delle agitazioni civili cominciate in Spagna con la fine del regime franchista
Le “mitiche tre” che venivano dalla Spagna
Negli anni ’60 e ’70, quando le enduro italiane “arrancavano” su terreni impietosi a causa della loro diretta derivazione stradale, tre case iberiche s’imposero come autentiche regine del fuoristrada: Bultaco, Montesa e Ossa. Tre “mitiche” perché, sotto l’egida del solido pensiero di Francisco Javier Bultò – Don Paco per gli amici (qui la sua storia)– misero le corse al centro della progettazione, trasformando ogni modello “civile”, cioè destinato al grande pubblico, in un concentrato di affidabilità, robustezza e performance da gara. Ossa in particolare seppe distinguersi grazie alle irraggiungibili (ed inarrestabili) Super Pioneer…
Ossa alla Sei Giorni
Fondata nel 1928 per rifornire i grandi studios cinematografici, la Ossa (acronimo di Orpheo Sincronics Sociedad Anonima) restò in ombra finché, nel 1964, Eduardo Giró – figlio del fondatore Manuel – decise di puntare sull’off‑road. Avviò un’intensa ricerca tecnica che, in pochi anni, fruttò medaglie d’oro alla Sei Giorni Internazionale di Enduro in Polonia (1967) e al Campionato Spagnolo.
Dalla vittoria in gara al modello di serie
Dalla 250 da competizione – scelta ideale per la Sei Giorni e i campionati nazionali – nacque la prima Enduro 250 a 4 marce destinata al mercato USA. Ma fu nel 1971 che arrivò, per l’Europa, la 250 E71: un modello ancor più vicino a quello utilizzato per la “Sei Giorni” grazie a un motore ottimizzato, cambio a 5 rapporti e dettagli di carrozzeria mutuati dalla versione corsaiola. Negli Stati Uniti, Mike Andrews la consacrò sul gradino più alto del Trial ’72, guadagnandole il soprannome affettuoso di “Pioneer”.
L’evoluzione: la 250 E73 del 1973
Sulla spinta dei successi, Ossa alzò l’asticella con la E73. Le novità tecniche erano tante e di spessore. Il motore era un monocilindro 2 tempi da 244 cm3 (72×60 mm) da 28 CV di potenza a 6.800 giri/min contro i 23–25 delle versioni precedenti, mentre il nuovo impianto di aspirazione veniva abbinato ad un carburatore Amai 32 mm al posto del vecchio IRZ 29 mm visto sulla E71. Di livello la ciclistica, con telaio doppia culla in acciaio, forcella telescopica all’anteriore e doppio ammortizzatore al posteriore, identici nell’impostazione a quelli della E71 ma rivisti ed ulteriormente migliorati in chiave agonistica. Non per nulla, fu proprio in sella alla E73 che, nel 1974, Ton Marsinyach sbaragliò la concorrenza nel Campionato Spagnolo All‑Terrain.
La gamma “Super Pioneer” dal 1975
Sfruttando l’ormai raggiunta ed indiscutibile fama guadagnata nel contesto agonistico che la Casa spagnola scelse di “separare” le anime racing e turistica. Accanto alla Desert, rivolta essenzialmente al pubblico di professionisti, arrivò così la Super Pioneer, modello dalla linea turistica declinato in due versioni, da 250 e 350 cm3.
La 250 Super Pioneer
Il motore due tempi da 244 cm3 aveva l’accensione elettronica, un carburatore Amai 32 mm, 22 CV di potenza ed un cambio con rapporto finale più corto ed una quinta ancor più lunga rispetto alla Desert. La ciclistica si affidava invece ad una forcella Betor da 35 mm abbinata dietro ad un forcellone accorciato di 4 mm per ridurre il passo e migliorare la maneggevolezza con ammortizzatori Betor 90 regolabili su 5 posizioni. I cerchi Akront erano invece calzati da pneumatici tassellati (Pirelli 3,00×21” ant., 4,00×18” post.); mentre l’impianto frenante si componeva di due tamburi. Il tutto per un peso di soli 93 kg, per una velocità di punta pari a 130 km/h. Unica la livrea: fibra di vetro color oro con decal arancio e nero, da subito ribattezzata “Dorada”.
Nel 1976 la 250 si rifece il look con il parafango anteriore bianco in resina infrangibile, forcella rinforzata, freno anteriore conico, ammortizzatori Betor Gas più inclinati, serbatoio rinforzato e carburatore Bing, insieme a un nuovo e scarico allungato.
La 350 Super Pioneer
Sulla sorellona il motore era da 302 cm3 (77×65 mm) - una scelta commerciale più che tecnica – abbinato ad un carburatore Bing T84 32 mm per 32 CV a 4 200 giri/min. Qualche novità anche nella ciclistica, con telaio in doppia culla rivisto, ammortizzatori più inclinati e tamburi alleggeriti. Diverso anche il look: carrozzeria bianca con virgola blu, poi aggiornata con strisce rosse e filetti neri e la sigla “350” sul fianco.
Il canto del cigno: la “terza serie” verde del 1979
La 250 terza serie, detta “verde”, sfoggiava un’accesissima livrea verde mela e un faro squadrato incorniciato da scocche bianche e verdi. La meccanica rimase invece invariata, cioè identica a quella della 250 rivista nel 1976. Prometteva bene, ma la storia sta per cambiare il suo corso…
More e rinascita del marchio
Con la fine del regime franchista e l’avvento della democrazia, tuttavia, la casa spagnola pagò insieme alle sorelle Butalco e Montesa un prezzo altissimo. Con il ritorno della democrazia, le agitazioni sindacali dilagarono: in due anni, 460 operai - quasi l’intera forza lavoro - impressero la dirigenza a cedere alle loro richieste, pur di mantenere viva la produzione. Tuttavia, l’impatto fu devastante. I costi schizzarono alle stelle, il mercato delle due ruote sprofondò in una crisi profonda e la concorrenza internazionale si fece implacabile, relegando Ossa, un tempo regina di vendite, innovazione e trionfi sportivi, in una posizione sempre più marginale.
L’ultimo atto di questa epopea fu la “Trial 303 Roja”, presentata al 48º Salone di Milano nel 1983 insieme al prototipo da trial “Domino”. Un anno dopo, Ossa cambiò pelle, trasformandosi in OSSAmoto e passando nelle mani di una cooperativa: così si chiuse, dopo sessant’anni, il capitolo della famiglia Giró.