Jawa 350 Type 634: era davvero la moto dei poveri?
Bicilindrica a due tempi, la 350 Type 634 di Jawa ha garantito gli spostamenti di tanti motociclisti in tutto il mondo. Da noi era “la moto dei poveri” ma, sotto sotto, era molto più ricca di quanto si credesse: affidabile, economica e facilissima da riparare (se mai ce ne fosse stato bisogno) in molti la ricordano con affetto…
Una moto da poveri?
C’erano un tempo ed un luogo in cui bastava che un motore si accendesse al primo calcio, che la trasmissione fosse solida ed il telaio robusto, capace di reggere chilometri e fatica. Tutto il resto era superfluo. O meglio, fuori portata. In quegli anni, nei paesi dell’Est, la moto si chiamava Jawa: semplice, onesta, concreta. Nonostante le cromature ed i goffi tentativi di stile, non era certo una moto da sfilata o da gara, ma da lavoro e utilizzo quotidiano. Una moto da poveri? Diciamo piuttosto una moto riservata a chi, con pochi soldi e poche pretese, cercava qualcosa che non lo lasciasse mai a piedi.
Jawa: il marchio, la filosofia, l’epoca
La storia di Jawa inizia nel 1929, quando l’imprenditore ceco František Janeček acquistò la sezione motociclistica della tedesca Wanderer. Da lì il nome: Ja+Wa. Negli anni a seguire, Jawa si costruì una reputazione fatta di qualità costruttiva, semplicità meccanica e affidabilità: valori che - nei decenni del dopoguerra e della Guerra Fredda - si rivelarono perfetti per le esigenze di milioni di motociclisti. Arrivata agli inizi degli anni Settanta, la 350 Typ 634 di cui parliamo qui divenne in breve un modello iconico: il due tempi da 343 cm3 era più che affidabile, il telaio “solido” ed il prezzo (questo è scontato) decisamente accessibile. Si diffuse in modo capillare e, inseime alle sorelle che seguirono poi, esportata in 120 paesi di tutto il mondo.
Jawa 350 Type 634
La 350 Type 634 arrivò nel 1973 e fu prodotta fino al 1984. Rispetto alla precedente 354, la 634 si distingueva subito per il design rinnovato e, soprattutto, per l’adozione di ruote da 18 pollici, che miglioravano stabilità e comfort. Una novità tecnica importante fu anche l’adozione della copertura della catena secondo il principio MZ, cioè con tubi in gomma e un carter sul mozzo posteriore. Una soluzione pensata per aumentare la pulizia (e quindi la durata) della trasmissione. Vero, nel 1974 fu introdotta la variante sportiva 634-5 caratterizzata da ammortizzatori posteriori scoperti e contagiri, con una potenza di 28 CV e una velocità massima di 135 km/h, ma la scelta di un motore due tempi semplice, di una meccanica prevedibile, di un telaio resistente e ruote 18” indicava fin da subito una strategia chiara: produrre un veicolo che, con pochi costi e manutenzione minima, potesse garantire mobilità anche in condizioni difficili e per molti anni. D’altra parte, chi l’ha avuta la ricorda come una moto senza fronzoli, sincera, come una compagna fedele e concreta.
Scheda tecnica
Sulla 350 ogni componente era sovradimensionato, pensato per resistere anche agli usi più gravosi e, in alcuni paesi del blocco, anche militari. 
Motore: bicilindrico 2 tempi con manovelle a 180°, cilindri in ghisa inclinati di 25° e teste in lega leggera, alesaggio corsa 58x65mm, cilindrata di 343,47 cm3. Potenza massima 26 CV a 5.250 giri e coppia max di 3,6 kgm a 4.750 giri. Il carburatore era un Jikov 2926 SB-Db con getto massimo di 115 e minimo di 55. La trasmissione primaria era a catena duplex, sulla sinistra, la secondaria a catena racchiusa sulla destra. Cambio in blocco a 4 marce con comando a pedale e leva singola sulla sinistra che fungeva anche da pedivella di avviamento. In pratica al momento di cambiare marcia, quando si aziona la leva, grazie ad una serie di dispositivi interni, viene disinnestata la frizione e successivamente introdotta la marcia.
Ciclistica: forcella teleidraulica con escursione di 150mm davanti e forcellone posteriore con doppi ammortizzatori teleidraulici da 80 mm di escursione. Ruote: cerchi in acciaio da 2,15x18 con pneumatici Barum 3.25-18 davanti e 3.50-18 dietro. I freni si affidavano invece ad un tamburo duplex davanti e ad un tamburo Simplex dietro. Il tutto per un peso a secco di 166 kg.
La versione sidecar

La 634, l’abbiamo capito, non nacque per conquistare salotti o piste, ma per vivere sulle strade reali: quelle polverose, dissestate, magari piene di buche, magari nemmeno asfaltate. Inoltre, uno dei motivi dietro lo sviluppo del modello fu l’esigenza di una moto capace di trainare i side‑car, ben diffusi in quegli anni nei paesi del blocco sovietico.
Un’icona che ha viaggiato nello spazio e nel tempo
Pur in numerose e differenti incarnazioni, la 350 Jawa è stata un fenomeno globale ed esportata in più di 120 paesi. Per migliaia di motociclisti nei paesi dell’Est, nei villaggi, nelle città d’inverno o nelle strade di campagna, la 634 rappresentava spesso (muli a parte) l’unico modo per spostarsi. Da noi, in Italia, arrivò nel 1975 al prezzo di 610mila lire: niente in confronto al milione e 100mila lire richiesto per la Yamaha RD350. La produzione della 634, l’abbiamo detto, si concluse nel 1985, ma la 350 continuò ad essere prodotta in altre versioni per molti anni ancora. Nel 1986 arrivò la Jawa 350 638 poi, nel 1991, la 640 ed infine, nel 2017, la OHC, monocilindrica quattro tempi decisamente più moderna (ve la raccontavamo qui: Jawa 350 OHC, la vintage che costa poco). Ancor più recente, attivata nel 2018, cioè già sotto il controllo di Mahindra, la 350 Special, sportiva vintage proposta come alternativa "retrò" alle 300 - 400 che tanto andavano di moda in quegli anni. Ma questa è tutta un’altra storia…