Garelli Mosquito, quando bastava un rullo per essere felici
Nato per rimettere in moto l’Italia si applicava alle biciclette e trasmetteva il moto attraverso un rullo a contatto con la ruota. Nel secondo dopoguerra ne vendettero 2 milioni di esemplari
Nell’immaginario comune il Mosquito Garelli è il micromotore con trasmissione a rullo per eccellenza. Un propulsore di piccola cilindrata da applicare a una bicicletta, che trasmette il moto per mezzo di un rullo tenuto a contatto con la ruota. Il costruttore di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, tra il 1946 e il 1960 ne vendette 2 milioni di esemplari, una diffusione enorme che ne fece anche la grande popolarità. Ma certamente non era un’esclusiva: soltanto in Italia nel primo dopoguerra erano disponibili sul mercato oltre un centinaio di micromotori diversi, molti dei quali costruiti da aziende quasi artigianali grazie alla loro estrema semplicità, e la stessa cosa successe in diversi Paesi all’estero. L’idea però risale a molto prima: esistevano micromotori a rullo già negli anni ‘20 ed è dello stesso periodo anche una bicicletta con motorizzazione elettrica prodotta dalla O.M.E. (Officina Meccanica Elettrotecnica).
Il Mosquito sezionato, la meccanica è razionale e compatta
Il momento giusto
Chi ha incominciato a produrre ora le biciclette a pedalata assistita non ha inventato nulla, ha solo azzeccato il momento storico giusto, come fu per il Mosquito. L’Italia usciva dalla Seconda Guerra Mondiale con le ossa rotte e un’economia duramente provata, la popolazione aveva bisogno di mezzi di trasporto ma pochi potevano permettersi un’automobile o anche una motocicletta. L’ingegnere milanese Carlo Alberto Gilardi aveva già disegnato un motore a due tempi con questa destinazione, stimolato dal fatto che per effettuare interventi di manutenzione sui macchinari industriali commercializzati dal padre, doveva percorrere lunghe distanze in bicicletta con una pesante cassetta degli attrezzi. L’ingegner Adalberto Garelli aveva già pensato a qualcosa del genere per la riconversione post bellica dell’azienda e sposò subito l’idea. Gilardi venne assunto nel 1945 e beneficiò di una royalty per ogni esemplare venduto.
Il Mosquito 39 A montato su una bicicletta Bianchi
Voce da zanzara
L’idea era semplicissima: un motorino a due tempi di piccola cilindrata, estremamente economico, da applicare a una bicicletta, con il volano a un lato dell’albero motore e dall’altro il rullo di trasmissione. Fu Gilardi stesso a collaudare il prototipo su lunghe distanze, applicato a una bicicletta turistica, e nel 1946 il motore venne posto in vendita con la denominazione commerciale di Mosquito, traduzione inglese di “zanzara” come veniva soprannominato dagli operai della Garelli per il rumore che usciva dal piccolo scarico. Era il modello 38 A, monocilindrico a due tempi raffreddato ad aria con misure di alesaggio e corsa 35 x 40 mm che conducevano a una cilindrata di 38,5 cm³. Trasmissione a rullo naturalmente. Era alimentato da un carburatore Dellorto e secondo le pubblicità dell’epoca aveva una potenza di 0,8 CV a 4200 giri/minuto, sufficiente a raggiungere una velocità massima di 32 km/h. Pesava 7 kg e la lubrificazione era assicurata dall’olio miscelato al carburante nella misura del 6/7%. Elevatissima, e questo portava a una notevole fumosità allo scarico, ma gli oli del tempo non permettevano di meglio; con quelli attuali è possibile viaggiare tranquillamente al 2%.
Un classico elegantissimo, Mosquito applicato a una biciletta Umberto Dei
Quando ci si ferma bisogna staccarlo
Il movimento veniva trasferito dall’albero motore al rullo per mezzo di un ingranaggio a denti elicoidali che demoltiplicava il rapporto di trasmissione; inizialmente l’ingranaggio condotto venne prodotto in ottone e nei modelli successivi in fibra. All’interno del rullo c’era la bobina ad alta tensione che tramite un filo si collegava al gruppo puntine-condensatore sul lato destro dell’albero motore. Veniva avviato pedalando con la bicicletta, facilitati da un decompressore nella testata; la levetta che lo azionava e quella di comando dell’acceleratore venivano montate sul braccio destro del manubrio con un fissaggio a braccialetto. Per fermarsi senza spegnere il motore bisognava tirare una grossa leva che lo faceva basculare allontanando il rullo dal copertone; per spegnere il motore bisognava azionare il decompressore.
Si va anche a pedali
Staffe a braccialetto permettevano l’applicazione al telaio da bicicletta, con un tirante per la parte anteriore e un perno dei pedali più lungo. Importantissimo il fatto che fosse possibile staccare il rullo e muoversi spingendo sui pedali, in caso di guasto – all’epoca l’affidabilità dei veicoli non era eccezionale – o di esaurimento del carburante. La miscela benzina/olio era contenuta in un serbatoio da 2 litri consegnato insieme al motore, sistemato sopra il portapacchi posteriore. Con un certo ottimismo veniva dichiarato un consumo di 80-100 km/litro. Il rubinetto della benzina aveva anche la posizione di riserva.
Il B vola a 45 km/h
Il Mosquito 38 A, completo del comando decompressore/acceleratore e del serbatoio, aveva un prezzo di 22.600 lire IGE compresa; all’epoca lo stipendio mensile di un operaio della Garelli era intorno alle 9000 lire, dunque per acquistarlo ci volevano due mesi e mezzo di lavoro.
Venne prodotto fino al 1953, poi arrivò il Mosquito 38 B, che nonostante il nome aveva una cilindrata di 49 cm³. Lo riconosceva a colpo d’occhio anche un inesperto per via della vistosa targhetta blu sul fianco sinistro ma in effetti era completamente diverso: nuove misure di alesaggio e corsa, 40 x 39 mm, e il rullo era montato direttamente sull’albero motore, senza più ingranaggi nel mezzo, con un aumento della scorrevolezza che lo rendeva più facile da avviare. Tutto era nuovo, dai carter all’albero motore, inoltre il volano non era più esterno ma contenuto all’interno di un carterino e la marmitta era girata in avanti con soltanto il terminale che riconduceva l’uscita dei gas all’indietro. La bobina era vicina al volantino e non più nel rullo.
Il prino Mosquito B aveva la targhetta Blu, poi divenne rossa
Un anno dopo si passò al modello più diffuso che continuò a chiamarsi 38 B ma era contraddistinto dalla targhetta rossa e differiva solo per alcune migliorie. Il nuovo motore permetteva di raggiungere una velocità di 45 km/h.
Nel 1955 il ciclomotore completo
Il primo ciclomotore completo di Garelli fu il 511
Fino a questo momento la Garelli si era limitata a produrre il motore destinato ad essere montato su telai da bicicletta o sulle numerose ciclistiche costruite da altre aziende, spesso artigianali. Nel 1955 il grande passo: arrivò il modello 511, un ciclomotore completo e anche molto curato, con i cavi che passavano internamente. Il motore era sempre il 38 B ma era dotato di una frizione centrifuga chiamata Centrimatic che permetteva di arrestarsi senza spegnerlo e senza dovere allontanare il rullo dalla ruota con una manovra scomoda e macchinosa. Successivamente la frizione venne commercializzata per essere montata anche sui 38 B precedenti.
Venduto in tutta Europa
Il Mosquito ebbe un successo tale che venne costruito anche in Spagna, Francia, Inghilterra, Argentina e Ungheria, in Italia venne prodotto su licenza anche dalla Industria Meccanica Napoletana per il modello BMG (Bici Moto Garelli) ma in molti particolari era diverso da quello prodotto a Sesto San Giovanni.
Alla fine degli anni 80 la Garelli re introdusse un nuovo motore Mosquito di concezione più moderna, sia come elemento sciolto da montare sulle biciclette che come ciclomotore completo, ma oramai erano in circolazione modelli più aggiornati, in particolare il Piaggio Ciao, e il nuovo progetto non ebbe grande successo.
Lo usò anche il Che
Per le sue caratteristiche intrinseche il Mosquito non si prestava alle grandi avventure ma vennero fatte corse per ciclomotori a rullo, mentre ad usarlo per un lungo viaggio nelle province più povere e arretrate del nord-est dell’Argentina fu nientemeno che Ernesto ”Che“ Guevara: avvenne nel gennaio 1950, prima ancora dell’impegno rivoluzionario che rese famoso “Il Comandante”. Ve lo abbiamo raccontato qui.
55 giorni a manetta
Un’altra follia memorabile fu quella organizzata nel 1952 dai fratelli Noilhier in Francia per dimostrarne l’affidabilità: una squadra di otto persone condusse un Mosquito ininterrottamente per 1324 ore, cioè più di 55 giorni. La prova si svolse in un circuito chiuso che venne percorso 22.762 volte coprendo una distanza totale di 40.175 km, cioè oltre 3 volte il giro del mondo, alla media di 30,343 km/h.
Nel 2018 a Bonneville
Più di recente, il 28 agosto 2018 Pietro Giacomo Zanetti ha stabilito due nuovi record mondiali sul Lago Salato (qui sopra) alla guida di un Mosquito da lui stesso preparato: 29,955 km/h sul miglio lanciato e 30,159 km/h sul chilometro lanciato. Velocità che a Bonneville non avevano mai visto… Il fatto è che il sale sollevato dallo pneumatico posteriore si raccoglieva sotto il rullo di trasmissione frenandolo al punto che Zanetti ha faticato ad arrivare in fondo al tratto cronometrato. Ma ce l’ha fatta e il suo nome compare orgogliosamente sul librone dei record.
Foto e immagini