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Dal flop alle stelle: Kawasaki Z1-R, ora è un mito

Negli anni Settanta Kawasaki rivoluzionò il proprio stile con la Z1-R, moto che di fatto inaugurò il nuovo corso estetico fatto di linee tese e superfici squadrate. Tra sperimentazioni tecniche, versioni speciali e persino varianti turbo, la Z1-R resta una pietra miliare della storia delle maxi giapponesi 

Z1000-D1: l’esordio 

Presentata nel 1978 la Z1000-D1, meglio conosciuta come Z1-R, si mostrò al pubblico come versione “factory custom” della Z1, caratterizzata da piccolo cupolino racing, scarico quattro-in-uno, cerchi in lega a sette razze da 18 pollici e linee decisamente più squadrate.  Complice l’arrivo ravvicinato di concorrenti come Honda CBX 1000-6 e Yamaha XS1100, la Z1-R non ebbe, all’epoca, il successo sperato. Eppure, oggi, viene a ragione considerata una  pietra miliare della storia delle maxi giapponesi…

Motore

Il motore, rifinito in nero, riprendeva lo schema della prima Z1 - un quattro cilindri in linea, 4 tempi, raffreddato ad aria, con doppio albero a camme (DOHC) e due valvole per cilindro - ma con alette di raffreddamento non lucidate. I nuovi carburatori da 28 mm consentivano di raggiungere 90 CV di potenza massima e circa 81,4 Nm di coppia a 7 000 giri/min. 

Qui la storia della Kawasaki Z1, una moto vendicativa...

Ciclistica 

Il telaio era a doppia culla in acciaio, con tubazioni rinforzate soprattutto nella zona dello sterzo tramite piastre aggiuntive sui tubi obliqui anteriori, abbinato ad una forcella telescopica da 36 mm, rivista rispetto a quella della Z1 con molle più lunghe e un sistema di smorzamento migliore. Dietro c’era invece un forcellone oscillante con doppio ammortizzatore, ora con molle a doppia taratura (soft + hard).  L’impianto frenante si componeva di doppi dischi anteriori forati e un disco posteriore, mentre il serbatoio “slimline” offre una capacità di soli 13 litri (ma più tardi verrà reso disponibile anche un serbatoio da 22 litri). Infine i cerchi, in lega pressofusa, neri con razze e bordi lucidati, da 18 sia davanti che dietro (invece dei 19" anteriori della Z1000 standard). 

Stile

A caratterizzare la nuova Z1-R era il serbatoio, ben più "spigoloso" rispetto a quello della Z "classica", o abbinato ad una carenatura dalle linee tese. Inconfondibili le fiancatine ed il parafango anteriore, rifiniti in una particolare tinta chiamata Metallic Stardust Silver. Il tocco finale erano le sottili strisce blu e nere sulla carrozzeria mentre i cerchi erano neri, con razze e bordi lucidati. La strumentazione prevedeva un tachimetro graduato fino a 160 mph e un contagiri con fondo scala a 11.000 giri/min, con zona rossa a partire da 8.500. Tra i due strumenti erano posizionate le spie di folle, abbaglianti, pressione olio e frecce, mentre nel contagiri veniva inserita la spia di anomalia STOP LAMP. Sopra agli strumenti, due indicatori rettangolari per il livello carburante e l’amperometro.

Evoluzione: Z1000S, Z1000-D2 e D3

Le vendite  (specialmente in Europa) non raggiunsero i numeri sperati e, per smaltire le scorte, Kawasaki Germania introdusse la Z1000S, sostanzialmente una Z1-R con serbatoio da 22 litri e scarico quattro-in-quattro della Z900. 


Nel 1979 debuttò quindi la Z1000-D2, equipaggiata con il motore della MkII, scarico quattro-in-due e ruota anteriore da 19 pollici. Disponibile nelle colorazioni Ebony e Luminous Dark Red (verrà riproposta nel 1980 come Z1000-D3, solo in livrea Ebony). Nel 1980 arrivò quindi la Z1000-D3, prodotta in 3.309 esemplari con numeri di telaio da KZT00D 017801 a 021109 e motori da 017616 a 021069. Sarà l’ultima incarnazione della Z1-R, rimasta nella storia come la prima maxi Kawasaki dalle ambizioni sportive.

La parentesi turbo

Nonostante la bontà del progetto, la Z1-R stentava come ricordato sopra, a fronteggiare la concorrenza di Honda e Yamaha. Da qui l’idea di crearne una versione turbo. L’iniziativa partì da Alan Masek, ex responsabile marketing di Kawasaki USA e poi divenuto vice presidente: insieme a John Gleason di ATP fondò in California la Turbo Cycle Corporation (TCC). La società acquistava le Z1-R standard, ancora nel colore originale Stardust Metallic, e le trasformava montando un turbocompressore Rajay 310 con filtro dell’aria rotondo e un unico carburatore Bendix 38mm, alimentato da una pompa carburante Autolec serie 210, in sostituzione dei quattro Mikuni originali. Il risultato era un significativo incremento delle prestazioni, con la potenza che raggiungeva valori compresi tra 105 e 145CV, a seconda della pressione di sovralimentazione adottata. Ne furono prodotte circa 200 unità. Successivamente, Masek iniziò a collaborare con Rollin “Molly”, titolare di un’azienda di verniciatura, noto per aver ideato il celebre Lime Green del team Kawasaki, su richiesta dei dirigenti giapponesi che volevano una colorazione capace di emergere tra le altre. Sempre a lui si deve anche la grafica gialla, nera e bianca del team Yamaha USA, resa famosa da Kenny Roberts. Per le Kawasaki turbo, “Molly” fu incaricato di creare una livrea distintiva: nacque così la vistosa combinazione nero/giallo/arancio della seconda serie, conosciuta come TC2. Anche di questa versione furono prodotti circa 200 esemplari.

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