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BSA Thunderbolt: perdeva olio e vibrava, ma che goduria su strada

Docile e tranquillo, il bicilindrico frontemarcia con cilindri in ghisa e monocarburatore si dimostrò perfetto per le lunghe percorrenze. Fin da subito, la Thunderbolt si impose sul mercato come la tourer per eccellenza, almeno finché non cambiarono tempi e gusti…

La tourer per eccellenza

Arrivata nei primi anni Sessanta, la BSA Thunderbolt si impose fin da subito come “la tourer per eccellenza” della serie A65. Con un lineare telaio a doppia culla e il caratteristico bicilindrico a corsa corta, debuttò nel 1962 ponendo le basi di quel motore da 650 cm3 che avrebbe fatto scuola: cambio in blocco, un solo carburatore e vibrazioni controllate, per un’erogazione dolce e adatta alle lunghe percorrenze. Ancora oggi, tra gli estimatori delle “old British” la Thunderbolt è considerata la più equilibrata in circolazione. Ecco la sua storia..

Origini e filosofia di guida: un motore tranquillo

Se la Spitfire vantava 54 CV e la Lightning 49 CV, la Thunderbolt – con i suoi 46 CV – manifestava l’indirizzo turistico voluto dalla Casa di Birmingham. È un motore che invita alla guida rilassata, privilegia la coppia ai bassi regimi e non pretende di salire a ogni costo di giri. Denominato A65 e firmato da Len Crisp e Bill Johnsson sotto la supervisione di Bert Perrigo, questo bicilindrico rappresentò una rivoluzione per BSA: per la prima volta un’unità di grossa cubatura adottava il cambio in blocco e la corsa corta. Pregi principali? Eccellente erogazione ai bassi e medi regimi, affidabilità di base e manutenzione agevole. Certo, c’era anche qualche difetto: il basamento “ibrido” – bronzina a destra e cuscinetto a sfere a sinistra – soffriva gli stress e poteva mandare in avaria albero motore e bielle; inoltre, il condotto d’aspirazione, corto e vicino ai cilindri, comprometteva la carburazione alle alte temperature. A questi si aggiungevano perdite d’olio diffuse e vibrazioni avvertibili a motore in temperatura. Ma guardiamo la scheda tecnica un po’ più nel dettaglio…

Motore, carburatore, cambio e frizione

Un classico della produzione BSA: un bicilindrico fronte marcia con cilindri in ghisa e testa in lega leggera. La distribuzione è ad aste e bilancieri, mentre il manovellismo, come nei precedenti modelli bicilindrici della Casa, è a 360°. Come detto, il trafilaggio di olio alla base dei cilindri e sotto il motore era considerato normale, ma le vibrazioni diventavano evidenti e fastidiose sopra i 100 km/h. Il singolo carburatore era un Amai Monobloc (fino al 1967, sostituito poi dall’Amai Concentric, più funzionale, fino al 1971). Entrambi erano da 28 mm, ma il condotto, troppo corto, e il calore emesso dai cilindri erano problemi noti. Dal punto di vista delle prestazioni, i rilevamenti segnavano i 400 metri con partenza da fermo in 14,8 secondi, con 139 km/h all’uscita. La velocità massima, intorno ai 6.500 giri, si raggiungeva invece in quarta marcia e si attestava sui 164 km/h.

Telaio, ammortizzatori, freni e ruote

Il telaio era un doppia culla chiusa derivato da quello della A7 e della A10. Dal 1971, il tubo superiore funge anche da serbatoio dell’olio /identico a quello della Bonneville). Eccellente. A lui erano abbinate dal ’71 preziose forcelle di tipo Ceriani a stelo nudo da 35 mm e, al posteriore, ammortizzatori Glrling regolabili nel precarico molla su tre posizioni. Adeguati quando si viaggiava soli, i freni si dimostrarono carenti in due, o a pieno carico: lo spazio d’arresto si allunga sensibilmente e la risposta diventa meno precisa. Tra il tamburo laterale a camma singola delle prime serie e quello centrale a doppia camma introdotto nel 1969 non si registrano differenze sostanziali in termini di efficacia. Lo stesso discorso vale per il tamburo conico da 200 mm con ampia presa d’aria adottato nell’ultima serie.

Strumentazione e comandi

Semplice, la strumentazione era ridotta sulla Thunderbolt al tachimetro Smiths, con contagiri proposto solo come optional a partire dal ’67. Su fanale Lucas c’era l’amperometro, con lancetta “ballerina” e non troppo precisa. Stessa cosa per i comandi, molto semplici ma comunque funzionali, come il mantettino per l’aria sulla manopola di destra, a botticella per meglio assorbire le vibrazioni. 

I colori
 

  • 1964–1966: serbatoio, fianchetti e parafanghi blu; pannelli serbatoio cromati; telaio nero.
  • 1967: serbatoio, fianchetti e parafanghi neri; pannelli serbatoio cromati; telaio nero.
  • 1968–1970: serbatoio e fianchetti blu; pannelli serbatoio e parafanghi cromati; telaio nero.
  • 1971: serbatoio con banda bianca e fianchetti in verde; telaio bianco/grigio.
  • 1972: serbatoio e fianchetti in bronzo; telaio nero.

Evoluzioni 1964–1972

Un paio d’anni dopo la sua presentazione, nel 1964, la Thunderbolt si distingueva ancora più nettamente dalla Lightning grazie al monocarburatore, che alleggeriva la guida e rendeva l’erogazione ancora più dolce. Tra le principali migliorie introdotte fino al 1969 ricordiamo il passaggio all’alternatore RM21, le luci a 12 V con singola batteria,lo  spostamento del comando frizione sul lato sinistro e i modulari aggiornamenti a carrozzeria e impianto frenante.

Il 1970 portò l’eliminazione del cavalletto laterale, nuovi silenziatori e coperchio punterie “a tutta lunghezza”. Ma fu il 1971 l’anno clou: debuttò il telaio “oil-in-framecon serbatoio olio integrato, sella monoblocco, serbatoio da 2 galloni (circa 9 litri) e scatola filtro aria riprogettata (con conseguente spostamento della batteria sotto il cambio).

Nonostante questi interventi, il “gusto americano” – sempre più orientato ai doppi carburatoripenalizzò le vendite della monocarburo, che vide crollare i numeri di produzione e salutò il mercato nel 1972: l’ultima Thunderbolt uscì di fabbrica con il telaio oil-in-frame e pochi ritocchi estetici.


 


 

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