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Avere 18 anni negli anni 70: le moto che sognavamo

C’erano la Ducati Desmo, l’Harley-Davidson SS (quella nata da Aermacchi), la CB Four di Honda, la Morini 3½, l’MV Agusta 350 Sport e, più rara da noi, la Yamaha RD. Ecco 6 modelli anni Settanta tra più desiderati dai 18enni di allora

Il successo delle 350

Negli anni Settanta, in Italia, le 350 ebbero un’enorme successo. Per legge, i diciottenni potevano infatti guidare solo modelli fino a 350 cm3, le maxi da 500 e 750 restavano fuori portata,  economica e legale. Sì, perché le 350, oltre a rientrare nei limiti di età previsti per legge, godevano anche di IVA agevolata beneficiando anche del contingentamento delle importazioni giapponesi che proteggeva i “nostri” costruttori. Una situazione che, evidentemente, favoriva i modelli di media cilindrata “nazionali”.  spesso derivati da motori progettati negli anni ’50. Non solo: la concorrenza giapponese - che pur era presente nostro paese, seppur a piccoli lotti - stimolava innovazione e ricerca di nuove soluzioni. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti rappresentavano un mercato di sbocco importante, dove le medie cilindrate erano sempre più richieste ed apprezzate. Fu in questo questo contesto che nacque il “mito” delle 350 italiane, vere protagoniste dei sogni dei diciottenni di allora… 

Ducati Desmo

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Presentata nel 1973, la Ducati Desmo introdusse per la prima volta l’accensione elettronica. E già questo bastava a renderla oggetto di desiderio per molti. M c’era molto di più. Il monocilindrico a coppie coniche progettato da Taglioni, destinato a scomparire nel 1975 a favore del bicilindrico parallelo, si confermò uno degli ultimi esempi di pura sportività all’italiana. La Desmo era compatta e leggera: interasse di 1.360 mm, altezza sella 735 mm, peso a vuoto 128 kg.Una piuma.  La ciclistica, da buona Ducati, era di alto livello: telaio monotrave, forcella Marzocchi con steli da 35 mm, ammortizzatori regolabili e, sugli ultimi esemplari, anche il freno a disco anteriore e la forcella Ceriani. Il motore, alesaggio 76 mm e corsa 75 mm, aveva ovviamente la distribuzione desmodromica che impediva lo sfarfallamento delle valvole. Compressione 9,5:1, potenza 29 CV a 8.500 giri, cambio a 5 marce con comando a destra e frizione multidisco in bagno d’olio. La guida era appagante: ciclistica precisa, motore pronto sin dai bassi regimi e cambio ben rapportato. Tuttavia (qualche difetto l’aveva anche lei) l’affidabilità era limitata, con vibrazioni capaci di allentare bulloneria e danneggiare componenti. Richiedeva manutenzione assidua e, a voler essere pignoli nel trovale altre pecche, l’uso autostradale a velocità elevate era “sconsigliato”. Esteticamente, i gusti son gusti ma questo è innegabile, rimane uno degli esempi più riusciti di Borgo Panigale. 

Harley-Davidson SS

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Nata dalla storica Aermacchi, la SS 350 fu prodotta dal 1972 al 1974 in 3.441 esemplari e segnò la piena integrazione della casa italiana sotto il controllo americano. Il motore era il classico monocilindrico 4 tempi Aermacchi, con circa 25 CV, caratterizzato da coppia disponibile ai bassi regimi e affidabilità superiore rispetto alle versioni precedenti. Il telaio a doppia culla chiusa sostituì il monotrave con motore appeso, migliorando stabilità e rigidità. Anche lei aveva l’avviamento elettrico (benchè considerato spesso inaffidabile), mentre il cambio era posizionato a sinistra. Interasse di 1.430 mm e peso di 167 kg conferivano una certa imponenza, evidenziata dalla grande sella e dal serbatoio da 13 litri. La forcella Ceriani da 32 mm risultava morbida, così come gli ammortizzatori Sebac regolabili, mentre i tamburi da 180 mm non brillavano in frenata. La SS era pensata per il turismo: motore morbido e poco incline a girare alto, guida comoda, coppia in basso e cambi fluidi tra i 4.000 e i 5.000 giri. Nel complesso - chi l’ha avuta lo ricorderà - risultava piacevole per passeggiate a ritmo tranquillo, ma non offriva certo la sportività delle Aermacchi precedenti né tantomeno doti dinamiche simili a quelle della Desmo appena ricordata.

Honda CB Four

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La CB Four rivoluzionò la categoria con il primo motore quattro cilindri nella 350. Negli anni Settanta si impose rapidamente, conquistando un buon numero di appassionati grazie in particolare ad affidabilità e comfort. Dotata di freno a disco anteriore, avviamento elettrico e finiture superiori alla media europea, la CB garantiva prestazioni adeguate senza sacrificare la facilità d’uso. Certo, c’erano comunque note stonate: il motore richiedeva regimi mediamente elevati per esprimere pienamente la sua potenza e la ciclistica presentava limiti strutturali, come la forcella troppo morbida, gli ammortizzatori sottodimensionati e, in generale,  quote ciclistiche non ideali che di fatto penalizzavano agilità e stabilità in curva. Non per nulla, molti esemplari venivano modificati con manubrio più basso, olio forcella più denso, molle spessorate e - magari -  scarico 4-in-1 per migliorare comportamento e risposta. Ve detto comunque che, nel complesso, la CB Four, che piacque, introdusse un nuovo modo di viaggiare: sereno, comodo e affidabile e, questo si dimostrò un aspetto vincente, una manutenzione ridotta al minimo.

Qui ve la raccontavamo per bene: E i 4 cilindri furono per tutti... Storia della Honda CB 350 Four

Moto Morini 3½

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La 3½, progettata da Franco Lambertini, fu considerata una delle 350 più piacevoli da guidare. Entrata in produzione nel 1973, combinava soluzioni moderne e semplicità costruttiva: teste piatte con camere di scoppio nei pistoni, distribuzione a cinghia, cambio a 6 marce e rubinetto benzina elettromagnetico.  Il motore a V di 72° garantiva coppia e allungo notevoli, con prestazioni superiori a molte 4 tempi concorrenti. Telaio a doppia culla, sospensioni Marzocchi e freni Grimeca erano garanzia di solidità e precisione, mentre l’assenza di avviamento elettrico (presente invece, come abbiamo visto, su Ducati, Honda e H-D) non penalizzava l’affidabilità.  Le versioni Sport del 1975 introdussero piccoli aggiornamenti capaci di incrementare la potenza di 4-5 CV ma, al contrario delle ultime versioni a disco, le prime serie a tamburo sono oggi rare le più rare e, anche, le più ricercate.

Qui vi spiegavamo il perchè: Moto Morini 3½, perché è stata una moto geniale

MV Agusta 350 Sport

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Prodotta tra il 1970 e il 1974 in circa 30.000 esemplari, la 350 Sport fu la bicilindrica più riuscita di casa MV in quegli anni. Il motore a aste e bilancieri, derivato dalla 250 ma con alesaggio maggiorato e cambio rinforzato, era brillante e potente, seppur rumoroso, con vibrazioni evidenti dovute al manovellismo a 180°. Telaio in lamiera stampata, forcella con soffietti e componentistica semplice ma solida si rivelarono vincenti: la 350 era stretta e bassa, simile nelle dimensioni alla Ducati ma più pesante di circa 20 kg. L’avviamento era a  pedale, la trasmissione e la frizione ben modulabili, anche sensibili al calore e la frenata capce, seppur “gravosa” sulla forcella, che tendeva ad affossarsi. La 350 Sport restava una moto spartana ma sportiva, “old style”, si potrebbe dire,  apprezzata per la guida divertente e la personalità distintiva del marchio. Nel 1975 fu sostituita dalla Ipotesi 350, più squadrata ma con prestazioni simili. Un’altra moto. 

Yamaha RD

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Anche nota come R5, la Yamaha RD arrivò in Italia con cilindrata iniziale di 357 cm3, poi ridotta a 347 cm3 per questioni fiscali. Pur rara nel nostro mercato, ebbe diffusione significativa all’estero, distinguendosi come una delle due tempi più veloci della categoria. Le prime RD hanno infatti origini negli anni ’60, ma è nel decennio successivo che conquistarono i mercati esteri, diventando tra le moto più veloci della categoria. In Francia, Germania, Inghilterra e soprattutto negli USA furono vendute in buoni numeri, mentre in Italia restano rare. Le normative antinquinamento segnarono la fine della versione originale e portarono all’introduzione del motore raffreddato a liquido nelle versioni successive. Il motore a due tempi, con lamelle sull’aspirazione, garantiva erogazione fluida e spinta consistente dai 6.000 ai 8.500 giri. Cambio a 6 marce e frizione morbida erano senza dubbio i suoi punti d forza. La ciclistica, nata per il mercato USA, era leggera e nervosa: la forcella e gli ammortizzatori “esili” richiedevano una certa attenzione, specialmente in curva. Nonostante questo, la RD restava veloce, maneggevole e dal carattere marcato. L’affidabilità era da giapponese ma, al contrario della Honda, richiedeva interventi periodici su candele, silenziatori e testate.

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