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Parigi-Dakar, le storie dimenticate: quando Moto Guzzi correva tra le dune

Moto Guzzi può vantare anche alcune partecipazioni alla mitica Parigi-Dakar: la casa di Mandello era presente alla prima edizione del 1979 e successivamente, grazie alla testardaggine del pilota progettista Barabba, anche a quelle del 1985 e 1986

Dai francesi a Barabba

Mancano pochi giorni alla partenza della Dakar sudamericana, ma ci piace tornare con la memoria ad alcuni momenti delle epiche edizioni degli anni Ottanta in terra d'Africa. Le prime e, per tutti gli appassionati, le più vere. Allora, come oggi, le dune dei deserti erano teatro di scontro tra le grandi case: BMW, Honda, Cagiva, Yamaha, Suzuki, puntavando ad arrivare per prime al Lago Rosa di Dakar, ma per tanti altri partecipanti l'importante era arrivare in fondo. Tra questi pochi ricordano la presenza di Moto Guzzi, che addirittura fu presente alla prima edizione del 1978 per merito dell’importatore francese Seudem. Sulle sabbie sahariane arrivarono cinque V50 modificate il minimo indispensabile e, sovvertendo tutti i pronostici, Bernard Rigoni finì 48esimo assoluto (su 74 arrivati, considerate che le classifiche auto e moto erano unificate). È tuttora questo il miglior risultato ottenuto da una Guzzi alla Dakar. Un risultato che appare ancor più notevole se si esaminano i dettagli delle moto che parteciparono: la ruota posteriore aveva il cerchio in lega di serie perché quelli a raggi testati non resistevano alle sollecitazioni del cardano, anche il forcellone di serie era stato conservato e accoppiato a due ammortizzatori con escursione maggiore, per la forcella invece si era scelta una Marzocchi in magnesio. La sella era quella di una V1000 Convert, mentre il serbatoio era stato creato sulla base di quello di una V7 Sport, allargato fino a raggiungere i 30 litri. I guzzisti francesi tornarono alla Parigi-Dakar con nuove moto basate sempre su V50 nel 1980 e nel 1981, ma non riuscirono a terminare la gara.

Prima edizione della Dakar: Moto Guzzi c'è!


Arriva Cludio Torri

La Dakar si faceva sempre più specialistica e le moto quasi di serie non bastavano più. La passione dei guzzisti però sa essere ostinata e smuove anche le montagne... qualche anno dopo ecco il miracolo: il giovane e appassionato architetto Claudio Torri, alias “Barabba”, andò fino a Mandello del Lario ad esporre la sua folle idea. Voleva partecipare alla Parigi Dakar in sella a una Guzzi sviluppata ad hoc e, cosa fondamentale, proponeva di sobbarcarsi in gran parte tutte le spese. Musica per i dirigenti di allora: il ragionier Donghi, braccio destro del ruvido patron De Tomaso, gli aprì le porte del mitico reparto esperienze e nacque così la V65 Baja. Una dakariana basata sulla meccanica della V65 "pompata" a 55 CV (foto in alto in apertura), con telaio rinforzato, sospensioni da off road, maxiserbatoio da 50 litri in alluminio e forcellone preso direttamente dalla maxi Le Mans 1000. Torri partì seguito dal mitico Serafino del Reparto Esperienze a bordo del furgone aziendale Fiat 238, mentre le squadre ufficiali di allora potevano contare anche sugli elicotteri... L'avventura finì prima di Dakar, pare per la rottura di un cerchio, che costrinse Torri ad abbandonare la moto e inizialmente fu dato addirittura per disperso. Ma la Baja si era comportata tutto sommato bene, tanto che l'importatore francese commissionò a Moto Guzzi 16 moto da vendere ai piloti privati con il serbatoio da 30 litri in alluminio battuto a mano, sospensioni Marzocchi a corsa lunga, l’avviamento a pedivella e non elettrico. In contemporanea, sempre i francesi chiesero a Guzzi di sviluppare un nuovo modello, basato questa volte sulla meccanica ben più potente della V75 con distribuzione a quattro valvole. La V75 Baja era capace di 62 CV e 170 km/h di velocità massima, numeri interessanti, ma l'affidabilità del motore (come quello di serie...) non era granché e anche questa volta le Baja non riuscirono ad arrivare al traguardo. Si chiuse così l'esperienza ufficiale di Guzzi alla Dakar, le moto sono tuttora esposte nel museo di Mandello del Lario.

Sulla base della V75 nacque questo prototipo per la Dakar 1986, ma non riuscì ad arrivare al traguardo


Il turno della Severe

Non abbandonò invece il suo sogno Torri-Barabba, che ci provò ancora due volte: nel 1988 e nel 1991. Nel 1988 portò la T.A.P. 750, com motore 750 della serie "grossa": l'avventura fini alla seconda tappa in Africa. L'ultimo tentativo vide in campo un prototipo molto più raffinato, la Guzzi Severe con bicilindrico 940 della SP con testate invertite, telaio e forcellone in alluminio e trasmissione a catena. Pesava 207 kg, una piuma rispetto alle moto ufficiali che erano oltre i 250 kg, ma la mancanza di messa a punto, soprattutto dell'iniezione (presa "brutalmente" da una California) diede problemi: "Fu un errore – precisò Torri – ho fatto così (invertire le testate ndr) per avere i pesi più centrati, solo che in questo modo gli scarichi si scaldavano troppo e diventavano addirittura roventi. Tra l’altro montai l’iniezione elettronica della California, senza modificarne la mappatura perché non ne ebbi il tempo ed ebbi grossi problemi di carburazione. Ma lavorai anche sulla trasmissione: era la mia la prima Guzzi con la trasmissione finale a catena e realizzai una coppia conica all’uscita del cambio per eliminare il cardano". Anche questa volta il tragurdo di Dakar restò comunque un miraggio.

L'ultima "follia" dakariana di Barabba: la Severe con trasmissione a catena e testate "girate"
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