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Intervista esclusiva - Petrucci: “Con Ducati siamo sempre rimasti legati"

È pronta una nuova sfida per Danilo Petrucci. Dopo aver portato a termine la Dakar, il ternano si rimetterà in gioco partecipando al campionato USA MotoAmerica. In questa intervista ci ha raccontato quali sono le sue aspettative
Un altro debutto nel 2022
A novembre ha portato a termine la stagione MotoGP, a gennaio ha disputato la Dakar e ora Danilo Petrucci si prepara per una nuova esperienza decisamente interessante. Il ternano sbarcherà oltreoceano per correre il MotoAmerica Superbike, supportato in tutto e per tutto da Ducati. Il 31enne, nella sede bergamasca dello sponsor Nolan, ci ha raccontato come ha preso la decisione di accettare questa offerta e che cosa si aspetta.

Come stai?
Ammaccato. Fortunatamente non ho nulla di rotto, però sono come una macchina che adesso devo portare dal meccanico. Sono stanco, ma spero di riprendermi. Non potendo fare neanche tanta attività fisica ci sto mettendo un po’ di più a recuperare, anche perché prima della Dakar avevo fatto un campionato di MotoGP. Quindi non ero proprio in vacanza, anzi, mi servirebbero… (ride)

E invece riparti subito, con il MotoAmerica e i test di preparazione a Portimao questa settimana.
Sì, non ho ancora i biglietti dell’aereo e mi sono ricordato tornando dalla Dakar che dovevo ancora disegnare la tuta, il casco e tutto il necessario. È stato un impegno molto grande a livello di testa preparare la Dakar. Ora dopo questi dieci giorni di scarico nei quali mi sto rimettendo a posto facendo fisioterapia, mi tocca rimettermi in riga con la dieta e soprattutto fare allenamento.

L’America ti aspetta, come vivi questo nuovo capitolo?
Vorrei prenderlo come ho fatto con la Dakar. Con lo stesso spirito. Non è facile, perché chiaramente anche nella Dakar dopo la seconda o terza tappa volevano tutti che vincessi, quindi da quel momento sono diventato l’uomo del momento. Ora che vado in un campionato del genere penso che secondo l’opinione generale dovrei stravincere. Cosa che sarà molto dura. Si tratta di un campionato molto difficile, delle dieci piste ne conosco solo due, avrò un bel da fare. Gli occhi saranno puntati su di me, ma vorrei prima di tutto continuare a divertirmi andando in moto, che è la cosa che mi piace di più e che avevo un po’ perso.

Cosa ti ha spinto ad accettare questa sfida?
Prima di tutto il fatto di divertirmi andando in moto. Poi c’è anche l’esperienza personale, di andare a vivere in un altro continente, guidare un altro tipo di moto ancora, fare una nuova esperienza a tutto tondo. A livello professionale mi ha fatto molto piacere il comportamento che hanno avuto i vertici Ducati. C’è stato sempre un ottimo dialogo e rapporto, nonostante io fossi andato in KTM e sono contento di essere rimasto legato in qualche modo a loro, a livello personale. Per questo insieme di cose ho pensato che si potesse fare.

Com’è tornare con la Casa di Borgo Panigale?
C’è l’appoggio di Ducati, per loro il mercato degli Stati Uniti è il più importante. Il MotoAmerica si sta rilanciando e quindi serviva una mossa del genere. Però devo dire che nonostante quello che si pensava, dopo il 2020, siamo sempre rimasti legati. In generale abbiamo fatto tante cose belle insieme. Sono stato il primo collaudatore della Panigale V2, nel 2011, e quello mi ha aiutato ad arrivare in MotoGP. Loro appena si è presentata questa opportunità hanno fatto di tutto per far sì che accettassi. Chiaramente non c’è una squadra Ducati ufficiale, c’è la moto, che è molto competitiva ed è della fabbrica. I test li faremo a Portimao proprio perché Ducati vuole dare il suo supporto, quindi è un impegno che per un campionato di questo genere è molto grande. Sono contento di questo.

Stai pensando anche a rifare la Dakar?
Sì, quando ero lì ho pensato tante volte, soprattutto la seconda settimana: “Ma chi me l’ha fatto fare!” Però sono tornato a casa e dopo due o tre giorni di riposo, avrei voluto rifarla per andare in moto. Se potessi solo andare in moto e non patire le pene dell’inferno e fare i trasferimenti, sarebbe ancora meglio, però è stata un’esperienza sicuramente forte che mi piacerebbe rifare in un modo corretto e più sicuro. Sono andato giù che ero molto teso, era tutto nuovo, il livello di stress, la caviglia rotta, il covid, la moto… Mi sembra che siano passati due anni dalla Dakar, invece appena dieci giorni.

Hai dato una seconda vita alla Dakar, anche con i tuoi racconti sui social. Te l’aspettavi?
No, c’è stato un buon riscontro, probabilmente dovuto al fatto che è una gara storica e sono riuscito a far vedere cose che normalmente da casa non si vedono, e senza filtri. Giorno dopo giorno, persone che prima non sapevano neanche cosa fosse, o che la chiamavano ancora “Parigi Dakar”, l’hanno scoperta ed è stato bello. Ho sentito il loro affetto, di persone che si svegliavano, mi scrivevano, seguivano la gara. È stato bellissimo.

Ora bisogna che ti organizzi per fare le stesse cose anche dall’America.
Esatto, anche lì ne vedrò delle belle. Quello del Moto America è un mondo molto più casareccio. Dev’essere figo. Sono proprio curioso di vedere come sono organizzati e capire quello che si fa.
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