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Veicoli elettrici, Amnesty chiede ai produttori una batteria etica

Tra sfruttamento del lavoro minorile e inquinamento dell’ecosistema, la filiera produttiva delle batterie agli ioni di litio deve essere ancora migliorata, soprattutto in termini di rispetto per l’ambiente e dei diritti umani. In occasione del Nordic Electric Vehicle Summit di Oslo, Amnesty International ha sollecitato l’industria dei veicoli elettrici a realizzare entro cinque anni la prima batteria completamente etica
Una batteria etica entro 5 anni
Certamente utili a ridurre, almeno nelle grandi città, le emissioni di CO2, i veicoli elettrici sono ben lontani dal potersi dire rispettosi dell’ambiente e dei diritti umani, o quantomeno non nella misura in cui produttori e (alcuni) governi vorrebbero far credere. A sottolinearlo, di nuovo, è stata Amnesty International in occasione del summit sui veicoli elettrici che annualmente si tiene ad Oslo. L’attenzione, in questo specifico caso, non è stata posta tanto sulla provenienza dell’energia necessaria al caricamento delle batterie - che nella maggior parte dei casi è ancora derivante dal petrolio - né sui (gravissimi) problemi legati allo smaltimento delle stesse, quanto piuttosto sulle disastrose modalità attraverso le quali queste vengono prodotte. Come riportato dall’ONG, i primi a farne le spese sarebbero i minatori - nella maggior parte dei casi bambini - impiegati (o meglio, sfruttati) nel processo di estrazione dei minerali necessari alla produzione di batterie agli ioni di litio. Il cobalto, per esempio, proviene per almeno il 50% del totale dalle miniere della Repubblica Domenicana del Congo, dove veri e propri schiavi vengono costretti a turni di lavoro disumani e al contatto con sostanze  tossiche e nocive per la salute. Dall’Argentina proviene invece il litio, estratto dalle terre di proprietà delle comunità indigene, le cui piantagioni e risorse idriche ne risultano irrimediabilmente inquinate. Poi c’è la manganese, la cui estrazione in alto mare sarebbe alla base del rilascio di altri inquinanti dannosi per l’intero ecosistema.
Nulla di nuovo, insomma, almeno per quanti si siano chiesti almeno una volta da dove provenissero i minerali necessari alla costruzione delle batterie, siano queste destinate ai veicoli o, come già in precedenza s’era detto, agli smartphone. L’emergenza, d’altra parte, è stata portata alla luce del sole più e più volte, ma non basta. Chiedendo loro di realizzare entro cinque anni la prima batteria completamente etica, Amnesty aumenta così la pressione sui costruttori, sollecitandoli a rendere trasparente la propria filiera di approvvigionamento, sicura che i consumatori, oggi teoricamente più sensibili alla questione, possano in qualche modo contribuire attraverso le proprie scelte ad un netto - e necessario - miglioramento della situazione. La strada parrebbe quella giusta: come Apple in “rappresentanza” dell’elettronica era stata la prima azienda ad aver pubblicato la lista dei suoi fornitori di cobalto nel 2017, così hanno fatto - su sollecitazione di Amnesty che lo scorso anno le aveva gravemente bocciate - anche BMW, Daimler e Renault. È un primo ma fondamentale passo: “Trovare soluzioni efficaci alla crisi del clima è un imperativo assoluto e le auto elettriche hanno un ruolo importante – ha ricordato in una nota ufficiale Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International –. Ma senza cambiamenti radicali, le batterie che alimentano i veicoli ‘verdi’ continueranno a essere associate alle violazioni dei diritti umani. Di fronte alla sempre più drammatica crisi del clima, i consumatori hanno il diritto di pretendere che i prodotti dichiarati come ‘scelta etica’ lo siano davvero”. 
Qui è possibile scaricare il report di Amnesty International.
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