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Intervista esclusiva a Vanni Oddera: “Con la Mototerapia libertà vera”

Vanni Oddera, freestyler di professione, conosce a fondo le emozioni che solo le moto sanno regalare, per questo ha deciso che queste sensazioni avrebbero potuto aiutare i ragazzi meno fortunati. È nata così Mototerapia. Lo abbiamo incontrato poco prima di Natale, ecco cosa ci ha raccontato
Vanni Oddera, classe 1980, è nato e vissuto sulle montagne dell'entroterra ligure: suo compagno Scheggia, un cinghiale di 100 kg che aveva conosciuto nei boschi. Era un bambino fortunato, libero e selvaggio, ma qualche anno dopo tutto sembrava dover finire: a dodici anni i medici hanno scoperto che era nato con il cuore a destra e avrebbe dovuto accontentarsi di una vita tranquilla, senza sforzi ed eccessi. Non è andata esattamente così... Oddera oggi è uno dei più forti piloti freestyler al mondo, un fuoriclasse sui campi da cross che organizza decine di eventi all'anno in Italia.
Questa era già una bella storia, ma Vanni non si è accontentato e ha pensato che il suo talento potesse essere utile anche a chi era meno fortunato di lui. Ha deciso che le splendide sensazioni regalate dalla moto, come dice "l'unico oggetto che rende veramente liberi", potevano rendere felici anche bambini e ragazzi disabili ed è nata così la Mototerapia. Una realtà italiana, che sta avendo successo anche all'estero. Gli spettacoli si svolgono nel campi di freestyle, ma anche tra le corsie degli ospedali pediatrici. Vanni è un vulcano di idee, lo abbiamo scoperto incontrandolo pochi giorni prima di Natale, ecco cosa ci ha raccontato.

Allora Vanni, raccontaci come è nata la Mototerapia...
Fin da quando ero piccolo sono sempre stato attento a chi stava meno bene di me. Ma la spinta che mi ha portato a iniziare tutto l'ho avuta in Russia, quando sono salito su un taxi guidato da un disabile. L’abitacolo era sporchissimo, l’odore disgustoso. Dopo pochi metri inizio a protestare con l’autista per lo stato dell’autovettura ma mi rendo conto che era un uomo senza gambe a guidare l’auto, un disabile. Mi sono sentito uno schifo. Gli ho consegnato tutti i soldi che avevo e mi sono fatto riportare in hotel. In quel momento ho pensato che avrei dovuto provare a cambiare le cose intorno a me. Alla fine si sta bene quando tutti stanno bene, altrimenti è un giardino verde in mezzo al deserto. Quando sono tornato a casa, mentre mi allenavo, ho pensato: “Perché lo devo fare qui da solo?” Allora ho contattato dei centri che svolgono progetti con i ragazzi disabili. Ho visto che l'esperienza funzionava, anzi era pazzesca, loro si divertivano, gli piaceva assistere agli allenamenti, e poi ho iniziato a portarli in moto.

Quando hai iniziato?
Era il 2009, l'ho fatto per diversi anni, mettendo sempre foto sui social e questo mi ha dato modo di trovare tante persone che mi hanno dato una mano. Per la Mototerapia non è mai entrato un euro, non ho mai voluto soldi, però ho sempre chiesto un aiuto concreto sul campo. Ora si è creata una catena umana spettacolare, che va a toccare tante realtà, quasi tutti i giorni.

Per esempio?
Aiutiamo i ragazzi a realizzare i loro desideri, ho portato un bimbo a Monza a girare con le Ferrari, un altro a fare un rally, ad un altro ho fatto avere i biglietti per assistere al concerto di Slash, che poi ha conosciuto. Ho anche organizzato delle feste di compleanno per questi bimbi, con noi che saltavamo e i fuochi d'artificio. Si è creato un entourage speciale, quello che si vede sui social è solo la punta dell'iceberg. Il resto lo facciamo quasi quotidianamente, a questa attività dedico più di 100 giornate all'anno.

Come organizzi gli eventi di Mototerapia?
Noi con il gruppo Daboot (una crew di freestyler italiani, ndr), ma anche io da solo, organizziamo eventi sportivi, ci chiamano ovunque. Cerco di aggiungere a tutte queste esibizioni la Mototerapia. Se so che vado in una città, propongo al promoter, all'organizzazione o al Comune la Mototerapia, ovviamente completamente gratuita. Quando ho l'ok contatto le associazioni, anche i Comuni mi danno una mano. Di solito organizziamo la Mototerapia la mattina, perché si svolga a porte chiuse, non voglio che sia pubblicizzata perché non deve diventare un escamotage per fare eventi o per avere il consenso delle persone.

Quante giornate organizzi all'anno?
Più di una quarantina. La prima volta l'ho fatto in Russia, a Mosca, e ha avuto un grande successo. L'abbiamo poi rifatta e il mio amico, il pilota russo Alexey Kolesnikov, insieme alla sua ragazza, Anna, hanno iniziato a seguire questo progetto supervisionato da me. Sta andando bene e ne organizzano quattro o cinque all'anno. La stessa cosa fa il mio amico Erick Ruiz, in Messico, e anche in Spagna, con Navas Antonio.

Qual è il segreto della Mototerapia?
Far provare le emozioni che provo io. La moto è rimasta uno dei pochi oggetti che ti fanno provare libertà vera. Una delle tante cose che mi dicono i ragazzi, quando li porto in moto, è questa: si sentono liberi. Sui loro volti c'è gioia, gli brillano gli occhi e c'è stupore. La Mototerapia dà una grande forza. Danno più loro a noi che noi a loro.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Con l'aiuto di tante persone, questa primavera vorrei che si svolgesse la Mototerapia nello stesso giorno e alla stessa ora in varie parti d'Italia, in 20 o 25 strutture diverse. L'idea è quella che ci sia un gruppo, capitanato da un motociclista, che io conosco e ritengo capace di fare tutto, e che venga fatto quello che di solito faccio negli ospedali con i bimbi. Sono già in contatto con molti ospedali. Un altro progetto, invece, si farà a gennaio: si tratta di fare una gimkana, con moto elettriche, costruirò con i miei amici dei salti, delle doppiette e delle parabole, che vorremmo mettere nei reparti di oncologia ed ematologia, nei corridoi dove i bimbi non possono uscire dalle stanze. Quindi loro si appoggerebbero alla porticina e vedrebbero saltare le moto nei corridoi.

E i medici che dicono?
Dopo nove anni sono conosciuto e credibile, mi lasciano fare molte cose. Ho anche avuto la fortuna di incontrare dottori straordinari. Mi hanno fatto entrare in un reparto anche con un falco.

I dottori cosa pensano della Mototerapia?
Sono entusiasti, perché i ragazzi che hanno già partecipato e sanno che un determinato giorno rivivranno questa esperienza, sono emozionati già settimane prima. È travolgente. Se una persona normodotata ci vede saltare dal vivo rimane impressionata, pensa loro. E in più li portiamo in moto, ma tanti di loro hanno paura della moto e non ci salirebbero, per questo ho studiato questo sistema: quando i ragazzi arrivano ci devono già trovare vestiti col casco, come se fossimo dei supereroi. Li salutiamo e poi iniziamo a saltare, loro rimangono stregati e si fidano, così salgono in moto.

Quale regalo vorresti chiedere a Babbo Natale?
Vorrei che il messaggio che sto lanciando arrivasse a tutti. Vorrei che tutti dedicassero un po' di tempo ai ragazzi meno fortunati. Tutti con le proprie passioni e il proprio tempo libero. Così sarebbe un mondo perfetto.
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