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Dakar - Paolo Ceci, il pilota... insegnante

Paolo Ceci è uno di quei piloti che si notano poco ma che, in silenzio, conquistano tanto. Unico italiano tra i primi venti alla Dakar, ora si divide tra l'attività di rider e quella di insegnante in una scuola di motorally fondata assieme alla sua fidanzata. La sua è una storia da raccontare.
Paolo Ceci, classe 75, modenese e una carriera da pilota spesa tra i motorally nazionali ed internazionali ha diviso fino al 2011 l’attività di pilota con la professione di antiquario. Poi, la decisione di dedicarsi alle moto in maniera totale fondando una scuola di motorally dove, con grande passione, ha iniziato a mettere la sua esperienza a disposizione degli altri. Ceci è un vero “malato del tassello”, salito su una moto da enduro a 16 anni, ha esordito in gara a 19 anni nel campionato regionale enduro per poi passare dopo tre stagioni nel mondo dei rally. Il suo curriculum è di quelli invidiabili. Lo scorso anno ad esempio, è stato l’unico italiano a centrare la Top20 alla Dakar, nonostante il ruolo da portatore d’acqua del team Speedbrain, eppure i media non hanno dato il giusto peso alla sua impresa: “Purtroppo l'interesse da parte dei media verso la Dakar è calato parecchio, rispetto agli anni 80 e 90 e sicuramente la crisi economica italiana ha influenzato molto questa cosa. La conseguenza è che mancano gli sponsor italiani e nessuno investe più sui media. Pensa che io ho corso completamente supportato da sponsor boliviani grazie al fatto che sono stato ingaggiato da Juan Carlos Salvatierra per essere al suo fianco in caso di necessità. Veramente un peccato, perché la Dakar è da considerarsi al pari di una Olimpiade o di un mondiale di calcio!”

Hai iniziato tardi a correre in moto. Nonostante questo, hai un palmares invidiabile, da vero professionista. Se avessi iniziato da bambino, dove saresti ora?
“Effettivamente al giorno d'oggi si inizia da bambini, nel mio caso è stato un inizio per nulla precoce. Ma i rally sono una disciplina che richiede molta maturità e bisogna conoscere alla perfezione i propri limiti e il proprio corpo, qualche anno in più , in questo senso, spesso è un vantaggio. Quando passi 10/12 ore al giorno in moto per due settimane è fondamentale sapersi amministrare e capire quando tirare i remi in barca e quando attaccare. Spesso un giovane fatica a fare questo e pensa solo a dare gas, qualche volta esagerando e rischiando troppo. Ho visto tanti piloti fortissimi provenienti dal motocross fare tappe da protagonisti e poi non finire la gara. Un esempio in positivo è il nostro indimenticabile Fabrizio Meoni. Una persona ed un pilota straordinario che ha vinto la sua prima Dakar quando aveva già 40 anni”.

Il motorally è una disciplina fra le più impegnative tra gli sport motoristici. Quanto ti alleni in una settimana?
“Negli ultimi anni sono sempre riuscito ad allenarmi abbastanza grazie anche al mio lavoro. Attualmente gestisco insieme alla mia ragazza Sara, una scuola di rally ed enduro a casa mia (Prignano in provincia di Modena) Il Monte off-road tour & school. Questo lavoro mi permette di essere in moto dalle tre alle cinque volte alla settimana, certamente per puntare alla vittoria in questi lunghi e durissimi rally bisognerebbe allenarsi di più in Africa o Sudamerica, su percorsi uguali a quelli delle gare, ma comunque avere la possibilità di stare così tanto in moto è già un‘ottima cosa. Inoltre, mi piace moltissimo insegnare e trasmettere ad altri la mia passione e le mie esperienze.”

Quanto conta il pilota e quanto la moto nella tua specialità?
“La moto deve essere principalmente affidabile e deve essere seguita da un buon meccanico ogni giorno (io ho il mio personale, Lele, che è anche un amico e pensa a tutto al meglio) ma il pilota in questo sport fa ancora l'80 per cento.”

Hai corso la Dakar con la Speedbrain e ora sei passato alla Beta. Cosa avresti potuto fare di più la scorsa Dakar, con un trattamento “da ufficiale”?
“La Dakar 2014 l’ho corsa con il team tedesco Speedbrain con una Speedbrain 450 ufficiale e sia moto che team sono stati eccezionali. Non penso che su un altra moto sarebbe cambiato qualcosa, piuttosto penso che se avessi potuto correre per il mio solo risultato e non come portatore d'acqua (come si dice in gergo rallystico) probabilmente la top ten sarebbe stata alla mia portata. Con Beta sta ripartendo una collaborazione quest'anno e, fino ad ora, non ho avuto ancora il piacere di guidarla ma sono sicuro che cercheremo di fare grandi cose insieme.”

Il più forte motorallysta in circolazione?
“A livello internazionale Coma e Despres rimangono i più forti e completi. Barreda è senza dubbio il più veloce ma è ancora molto giovane e deve ancora maturare un po'. Sunderland, che è giovanissimo, penso possa rappresentare il futuro e mi sono molto meravigliato che Honda se lo sia lasciato recentemente scappare per KTM. Viladoms, purtroppo, non è riuscito in questi anni ad avere continuità e serenità a causa dei tanti cambiamenti di team, ma penso che possa dire la sua in futuro e il secondo posto di quest'anno la dice lunga sulla sua potenzialità. Inoltre, è un amico e gli auguro di cuore di salire sul gradino più alto del podio.”

Il più forte di tutti i tempi?
"Penso Stéphane Peterhansel, oltre al numero di vittorie, tra moto e auto, che ha collezionato fino a ora: l'ho visto correre due anni fa in Sardegna al mondiale e da ancora un gran gas! Secondo me sarebbe competitivo in moto ancora oggi.”

Fino a che età un rallysta può essere competitivo?
“Si può vincere anche a 45 anni, per ottenre un buon risultato anche 50 anni, purché si sia sempre al top della forma.”

Cosa pensi del motociclismo italiano? Qualche cosa da riferire alla Federazione Motociclistica Italiana, nel bene e nel male?
“Ci sarebbe da scrivere un libro ma, senza fare polemica, penso che servirebbe tanto un loro supporto per creare un vivaio di giovani, perché adesso in Italia non si fa nulla per i rally. Io, con la mia scuola, sarei felice di poter collaborare con la Federazione e cercare di crescere qualche pilota vincente. Il comitato motorally che organizza il campionato italiano diretto da Antonio Assirelli sta facendo da diversi anni un ottimo lavoro e la disciplina ne ha tratto parecchi giovamenti.”

A parte qualche zona fortunata, in Italia è difficilissimo potersi allenare in fuoristrada. Specialmente al nord Italia è praticamente vietato ovunque.
“Questo è un tema molto delicato dal punto di vista politico ed ambientale. Purtroppo. per ovvie ragioni, non è possibile tenere i road book delle gare ed andare ad allenarsi dopo. Io e Sara, con la nostra scuola stiamo in parte proponendo anche la possibilità di allenarsi e praticare la navigazione, ma questo è possibile solo grazie al comune del nostro paese, che ci supporta e ci permette di praticare l'attività rispettando il prossimo e la natura.”

Ci sono due tipo di rallysti: quelli che puntano alla classifica e quelli che puntano a finire, a prescindere. Tu sei del primo tipo: fare una Dakar con un passo a ridosso dei piloti migliori del mondo, comporta dei rischi diversi. Hai famiglia, un’attività, e delle responsabilità. Come vivi a livello mentale la pericolosità del tuo sport?
“Che sia uno sport rischioso è indiscutibile. Ci penso sempre al rischio, ma cerco sempre di non andare mai al 100 per cento e di amministrarmi il meglio possibile. L'esperienza in questo tipo di gare è quel valore aggiunto che il più delle volte fa la differenza tra rischiare e viaggiare tra virgolette in sicurezza. Da parte mia sono contento di questa Dakar, perché non ho mai rischiato nulla e i “jolly” sono ancora tutti nel mazzo. Probabilmente, se avessi corso "libero" (e non come supporto al compagno di squadra, ndr) qualche jolly me lo sarei giocato. Il mio consiglio a chi sogna di fare la Dakar è di allenarsi tanto in moto, apprendere al massimo la tecnica e soprattutto di fare prima esperienza con gare minori.”

Quando te la sei vista più brutta?
“In realtà non ho mai rischiato tanto. In Sardegna, nel 2008, ho però dato una bella botta e sono stato molto fortunato perché me la sono cavata solo con un braccio fratturato e un volo in elicottero. Ma poteva andare molto peggio! Molti amici sardi ancora oggi mi ricordano  che sono ricercato dalla forestale per abbattimento illegale di alberi (ride). Ne ho abbattuti un paio di testa!”

Quanto investi del tuo e quanto sei aiutato, economicamente, per correre in moto. Ad esempio, quanto costa partecipare alla Dakar?
“Avendo corso la Dakar come supporto per Salvatierra non ho avuto nessun costo, ma per pensare di fare una Dakar da privato bisogna considerare tutto compreso minimo 70.000 euro».

Cosa ti aspetti dalla stagione 2014?
“Quest’anno mi concentrerò principalmente nella mia attività di scuola del Monte Offroad e parteciperò a qualche gara internazionale come il Sardegna Rally Race ,Transanatolia e Merzouga Rally: in queste gare forniremo anche servizio assistenza a chi fosse interessato.”

Un’ultima domanda, dedicata ai nostalgici della vecchia Dakar: meglio la Dakar africana o Sudamericana?
“Io ho corso tre volte quella sudamericana e mai quella africana, in Africa ho corso molte gare e ho sicuramente una buona idea di cosa poteva essere quella africana, ma non posso esprimere un giudizio reale. Quella sudamericana è comunque una Dakar durissima e molto varia sotto ogni punto di vista.”
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