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Biocarburanti: il futuro è negli scarti alimentari?

Quella dei biocarburanti è una promettente alternativa all’elettrico, almeno per ciò che riguarda i trasporti e la mobilità in generale. Fondamentale tuttavia l’aspetto della “sostenibilità”: da qui la ricerca per ottenere biodiesel e bioetanolo dai rifiuti alimentari

Olio esausto anziché benzina?
Anziché di slo elettrico, quando si pensa ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte del settore trasporti, bisognerebbe parlare, più in generale, di “sostenibilità”.

Non c’è dubbio infatti che per  decarbonizzare i trasporti sia essenziale abbandonare i combustibili fossili, ma non è detto per farlo che l’unica strada possibile sia quella delle batterie. Al contrario, esiste un seconda possibilità (che non per forza esclude la prima) altrettanto interessante e, forse, ancor più promettente sia dal punto di vista ambientale che economico. Quella dei biocarburanti, a patto ovviamente che provengano da fonti sostenibili, quali ad esempio gli scarti agricoli, forestali o, più in generale, dai rifiuti. A sostenerlo è niente meno che l’Agenzia Internazionale dell’Energia, secondo cui bioetanolo e biodiesel - neutrali in termini di CO2 - potrebbero, se utilizzati in larga scala, portare ad un 65% in meno di emissioni di gas ad effetto serra rispetto ai combustibili fossili. Ovviamente, esistono al riguardo numerosi ostacoli: una su tutte quella relativa alla loro produzione che, almeno per ora, richiede l’utilizzo di enormi coltivazioni, con tutto ciò che ne consegue a livello ambientale. Da qui l’impegno da parte degli scienziati per trovare un modo sostenibile per produrre più biocarburanti dai rifiuti o da prodotti di scarto.
Il cuore dell’intera questione viene brillantemente chiarito da Pablo Cruz-Morales, microbiologo dell'Università tecnica della Danimarca nonché firmatario di un interessante studio condotto dal Lawrence Berkeley Lab: “In chimica - ha ricordato il ricercatore - tutto ciò che richiede energia per essere prodotto rilascerà energia quando si rompe”. La ricerca condotta da Cruz-Morales si basa, semplificando, su di una molecola generata da comuni batteri presenti nel suolo e, più in generale, sul processo di scomposizione di glucosio o amminoacidi, ma le metodologie sono in tal senso numerose. Un’altra, già utilizzata dall’impianto Eni di Porto Marghera, si basa per esempio sul riciclo degli oli vegetali esausti e, quindi, sugli scarti alimentari. Rifiuti, si direbbe guardando agli investimenti operati dalla stessa Eni e da numerose altre compagnie, destinati a giocare una parte fondamentale nella produzione di biocarburanti a livello globale. Una speranza per tutti coloro i quali piangono all’idea di abbandonare definitivamente i tradizionali motori a combustione…

 

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