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Yamaha TZ 750 Flat Track, quando Kenny Roberts disse: “Non mi pagano abbastanza per guidarla"”

Giusto 45 anni fa con poche parole Kenny Roberts liquidò la moto con la quale aveva appena conquistato una vittoria rimasta nella storia, ma non era una moto normale: era una bestia feroce, che lui solo era riuscito a prendere per le corna. Ecco la storia della Yamaha TZ 750 Flat Track Racer e della incredibile vittoria sull’ovale di Indianapolis
Un "mostro" a due tempi
Sono passati 45 anni da quella frase leggendaria: «Non mi pagano abbastanza per guidare quell’affare!». Con quelle poche parole Kenny Roberts liquidò la moto con la quale aveva appena conquistato una vittoria rimasta nella storia, ma non era una moto normale: era una bestia feroce, un toro scatenato che lui solo era riuscito a prendere per le corna. A fatica.
Era il 1975 e il campionato americano flat track era importantissimo perché vincerlo significava vendere tante moto in un mercato molto ricco, ma la Yamaha XS 650 ufficiale di Kenny Roberts, campione in carica, non era più competitiva e le Harley Davidson XR 750 dominavano.
L’idea fu di Kel Carruthers, ex iridato della 250 e in quel momento direttore tecnico della Yamaha USA: montare il motore quattro cilindri due tempi della 750 da GP al posto del bicilindrico 4 tempi 650. 125 cavalli contro 75 e un’erogazione rabbiosa, un mezzo suicidio per gare che si correvano su piste ovali in terra battuta e senza il freno anteriore, costretti ad intraversare la moto per rallentare. Se Kenny voleva dei cavalli li avrebbe avuti, imbrigliati – per quanto possibile – in un telaio progettato dallo specialista Doug Schwerma.
La moto fu costruita a tempo di record e Kenny non ebbe nemmeno il tempo di provarla prima. Decise i rapporti con una telefonata chiedendo a Carruthers una velocità di 210 km/h, che riteneva sufficiente per vincere, anche se poi scoprì che poteva arrivare a 240 km/h.
Vide la moto per la prima volta il giorno della gara, il 23 agosto 1975 a Indianapolis, ed era proprio come se l’aspettava: potentissima e terrorizzante. In finale scattò solo al sesto posto, in testa c’erano tre Harley ufficiali: Jay Springsteen, Corky Keener e con un po’ di distacco Rex Beauchamp.
Kenny faticava: «Loro sfruttavano il canale che si era formato all’interno delle curve, io con la mia moto dovevo tenere linee più larghe, così cominciai a farla sbandare per accumulare sabbia all’esterno delle curve, creando una sponda contro cui appoggiarmi».
Sul dritto il californiano aveva almeno 50 km/h di vantaggio, il proble
ma era rallentare…
«L’unico modo era buttarsi dentro e sbandare fino all’appoggio. Li presi ma non fu facile».
Tutto si giocò all’ultimo giro. King Kenny era quarto, li vedeva tutti e tre davanti a sé. All’ultima curva si buttò dentro come un indemoniato.
«Non so cosa mi sia passato per la testa. Stavo perdendo il posteriore, la ruota aveva una deriva mostruosa. Ma sul rettilineo ero terzo, capii che potevo arrivare secondo, misi la quinta e successe tutto così velocemente…»
… che nella volata superò anche il primo, tagliando il traguardo con mezza moto di vantaggio.
È tutto  documentato nel filmato qu sotto, amatoriale ma prezioso.
La vittoria storica però non ebbe seguito: la moto era fortissima ma era terrificante, Roberts la portò ad un altro paio di gare ma corse con la vecchia, rassicurante bicilindrica. La motivazione è rimasta nella storia: «Non mi pagano abbastanza per guidare quell’affare». Ma probabilmente “quell’affare” sarebbe rimasto inguidabile anche per tutto l’oro del mondo.

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