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La 10 moto più incredibili secondo Miguel Galluzzi

Miguel Galluzzi ha scritto pagine importanti della storia del design, ma quali sono le moto che lo hanno "segnato" maggiormente? Ecco i 10 modelli che avrebbe voluto disegnare
Dalla Norton alla Britten
Miguel Galluzzi ha fatto la storia del design moto: nel 1992 ha creato la Monster e il segmento delle naked. Ma sono sue anche la prima Ducati Supersport degli anni 90, le Cagiva Raptor e V-Raptor, le Moto Guzzi California 1400 (inclusa la visionaria MGX-21) e le V7 II-III, insieme a tante altre. Oggi è il direttore del PADC (Piaggio Advanced Design Center), a Pasadena, in California e, per il sito motorcycle.com, ha stilato una lista delle 10 moto più importanti e belle secondo lui. Eccole a voi. 

10° posto: Norton Manx
La sua classifica delle moto più belle di tutti i tempi si apre, al decimo posto, con la Norton Manx, una delle moto da gara più vincenti del '900. “Nel 1959, nel giorno in cui sono nato, mio padre ha dovuto vincere la gara in quel fine settimana per essere in grado di pagare il conto dell'ospedale…”, ricorda Galluzzi. “La moto con cui ha vinto era una Norton Manx: le linee, il serbatoio, i colori, il suono, gli odori ancora oggi rappresentano per me qualcosa di fantastico”.



9° e 8° posto: Honda CB 750 Four e Vincent Black Shadow
Al nono posto troviamo la Honda CB750 Four, che precede la Vincent Black Shadow del 1948 (fu prodotta fino al 1955). “Avevo 10 anni, e un fine settimana ho convinto mio zio e mio padre ad andare a una gara di motocross nella periferia di Buenos Aires. Abbiamo usato una Vincent Black Shadow del 1948 e la prima Honda CB750 Four arrivata in Argentina. I ricordi della gara sono vaghi, ma il ricordo del viaggio da e per la pista con quelle due moto mi dà ancora i brividi”.


7° posto: Honda CRM Elsinore
Il settimo posto è per un’altra Honda: la CR250M Elsinore. “Un paio di anni dopo quel pomeriggio, con mio fratello Marco ho iniziato a gareggiare nel cross. Nel 1973, Honda ha rivoluzionato tutto con la CR250M Elsinore, offrendo una tecnologia in quel momento di pregio a prezzi accessibili a tutti. Il serbatoio in alluminio lucido mi affascina ancora ogni volta che ne vedo uno! I marchi europei erano migliori, ma tutti potevano permettersi di acquistare una moto da cross  giapponese. Si poteva correre ogni fine settimana senza spendere una fortuna”.



6° posto: Moto Guzzi 850 Le Mans
In seguito, mio fratello ed io abbiamo iniziato a lavorare nella concessionaria di moto di nostro padre dopo la scuola”, ricorda Galluzzi. “Le moto erano il nostro pane quotidiano e quelle di grossa cilindrata erano nei nostri sogni. Abbiamo venduto molte Honda e Yamaha, che avevano prezzi accessibili. In quegli anni, i marchi europei faticavano a contrastare quelli giapponesi. Un pomeriggio, ho visto un mio amico in sella a una moto che aveva parte della carenatura verniciata arancione fluo. Abbiamo trascorso il pomeriggio in sella a quella Moto Guzzi 850 Le Mans, e ricordo di aver pensato dentro di me: ‘Questa moto è grezza, ma è italiana’. Mi sembrava diversa. Le moto che vendevamo in quel periodo erano semplicemente perfette, ma mancavano di qualcosa, che ho scoperto più tardi lavorando in Italia: la passione nel processo di creazione di una moto italiana è qualcosa di unico ed è ciò che nel prodotto finale ancora oggi fa la differenza”.



5° posto: BMW R 100 RS
Al quinto posto il designe argentino metteuna BMW: la R100RS. Galluzzi ricorda: “Trascorsi la mia prima estate negli Stati Uniti nel sud della Florida a cavallo della R 100 RS, la prima moto di serie con una carenatura. I produttori europei provavano a superare in astuzia i giapponesi con nuove idee: la R 100 RS con la sua carenatura e la configurazione monoposto era la soluzione perfetta. In quegli anni la Superbike stava nascendo negli Stati Uniti, e BMW lo aveva capito prima di tutti”.



4° posto: Harley-Davidson XLCR
Mentre era in Florida, Galluzzi a un semaforo incrociò una Harley-Davidson XLCR, un colpo di fulmine che vale il quarto posto nella classifica: "Era nera, muscolosa e forte: tutto quanto di lei diceva "guardami!" Aveva le ruote Morris con la scritta bianca sulle gomme. Semplicemente stupenda! Durante gli anni 80, mentre studiavo negli Stati Uniti, ho cercato di comprarne una, ma tutti quelli con cui ho parlato mi hanno detto di starne alla larga. Più ci penso e più mi dispiace di aver ascoltato quel consiglio!".



3° posto: Suzuki Katana
Siamo al gradino più basso del podio: “Il design motociclistico è il mio lavoro da decenni, ma ancora ricordo il momento in cui la Suzuki Katana è apparsa sulle rivista di moto negli Stati Uniti”, dice Galluzzi. “Il pilota era seduto all'interno della moto; era più simile a una moto da corsa che a una di serie, con un sacco di dettagli che ancora oggi fanno impressione. Era enormemente più avanti di tutti gli altri”.



2° posto: Honda RC30
La medaglia d’argento va alla Honda RC30. “Nel 1986 vivevo in Germania e lavoravo per Opel. Le mie moto erano per lo più su carta e disegnavo di notte, cercando di compensare la noia del settore auto. Il mio capo lo sapeva e parlò di me ad alcuni amici in Honda Europa. Quando Honda decise di aprire uno studio di design in Italia per capire come lavorano gli italiani, venni assunto iniziando a lavorare per un po' negli uffici di Honda Germania. È stato allora che ho visto per la prima volta la RC30... ed era migliore di ogni altra cosa avessi visto prima. Era una moto di serie, ma la tecnologia era quella di una moto da gara. Mi ricordo di essere andato nel garage dove erano parcheggiate tutte le moto e avere passato ore e ore esaminando avidamente la RC30 in ogni dettaglio”.



1° posto: Britten V1000
In testa alla personale classifica delle moto che popolano i ricordi di Miguel Galluzzi troviamo la Britten V1000. Questo il commento di Galluzzi: “Nel 1990 lavoravo per il Gruppo Cagiva e stato cercando di "tagliare" le carenature per mostrare i motori nelle Ducati (che a quel tempo faceva parte del gruppo di Claudio Castiglioni). In quei giorni, ho avuto un’occasione d’oro: ho passato un pomeriggio negli uffici di Varese con John Britten, che era in Italia per partecipare ad alcune gare a Monza. Quel pomeriggio rimane uno dei momenti più belli della mia carriera. Britten ci spiegò in dettaglio come era stato in grado di costruire ogni parte della sua moto. Il fatto di abitare in Nuova Zelanda, così lontano da tutto, lo aveva costretto a fare tutto da solo. Ricordo ancora la sua spiegazione della costruzione delle ruote in carbonio. La V1000 è una moto che si poteva studiare per ore. La semplicità di ogni dettaglio rende l’insieme incredibile, e la cosa migliore è che va, ed è veloce”. 

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