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Ivano Beggio, il ricordo di Claudio Pavanello

Com'era Ivano Beggio sul lavoro, quale la miscela che ha permesso a una piccola realtà veneta di crescere fino a sfidare e battere sonoramente i giganti giapponesi ed europei? L'abbiamo chiesto a Claudio Pavanello che per anni ha lavorato gomito a gomito con Ivano. Ecco il suo racconto da leggere tutto d'un fiato
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Aprilia a metà anni ’90, quando ho iniziato a lavorarci, prima come responsabile dei club e del web, e poi anche dell’ufficio stampa, era una azienda straordinaria, in cui brillanti neolaureati da ogni parte d’Italia si mescolavano con i rudi fondatori della prima ora, con gli esperti reduci approdati a Noale da case scomparse come Ancillotti, TGM, SWM e con impiegati laboriosi e fedeli, provenienti in gran parte da famiglie di tradizione artigiana e contadina, molti dei quali con qualche forma di amicizia o parentela rispetto alla proprietà. Tutti assieme costituivamo un ambiente irripetibile, in un certo senso anarchico, teso ed appassionato, che, tra liti furibonde ed amicizie fraterne, dava vita a moto eccezionali, capaci di spiazzare ogni volta la concorrenza con la loro originalità. Ivano Beggio era il Sovrano indiscusso di questo magico regno che aveva creato a sua immagine e somiglianza.
Entrare in Aprilia è stata per me una enorme soddisfazione, anche se a quel tempo non sapevo bene che cosa aspettarmi: come collaboratore del Gazzettino avevo intervistato Beggio più volte e a colpirmi in lui, e a lasciarmi perfino un po' perplesso, era stata la sua pacatezza, era il tono misurato e riflessivo che usava, tanto che lo avevo immaginato come il "Gianni Agnelli delle due ruote". Quanto mi sbagliavo, invece! Nel giro di due riunioni mi ero reso conto con gioia che, in realtà, Ivano Beggio era assolutamente “uno di noi”, un appassionato fino al midollo, un “pazzo” nell’accezione più nobile del termine, quella che usano i motociclisti al bar del Muraglione nei confronti dell’amico più coraggioso, estroso, capace e invidiato.
Lavorare a stretto contatto con lui era una esperienza totalizzante, fisicamente e mentalmente impegnativa: faccio difficoltà a ricordarmi in qualche luogo durante il week-end senza essere inesorabilmente raggiunto da una telefonata per discutere progetti, commentare articoli, immaginare eventi. Ed uguale sorte capitava a tanti colleghi, in un perenne brainstorming “a domicilio”.
Eppure, tra i nostri solenni improperi e le promesse (mai mantenute) di cercarci un lavoro più tranquillo, amavamo e rispettavamo Ivano Beggio alla follia. Lui era il nostro capo e di lui potevamo fidarci, anche nel caso sbagliassimo qualcosa: un errore fatto nel tentativo di migliorare non era un errore.  
In occasioni come queste è facile scivolare nella retorica, dando l’impressione al lettore di parlare per frasi fatte. Non è così: l’affetto, l’amicizia, la riconoscenza attorno alla sua figura sono tangibili, un sentimento bellissimo, onesto, raro che tutti noi ex colleghi ci rimbalziamo da giorni con commossi messaggi. In molte aziende del Veneto oggi ci saranno tante scrivanie vuote: nessuno mancherà all’ultimo saluto nel Duomo di Asolo al suo Maestro. Il fatto che gli attuali dipendenti abbiano chiesto di poter onorare nel suo passaggio a Noale il feretro di un uomo che aveva rinunciato alla presidenza ben quattordici anni fa la dice lunga sul fantastico ricordo umano e professionale che la sua proprietà ha lasciato.  
Beggio con la sua genialità e la sua passione ci aveva portati in un mondo veloce come le nostre moto, in cui le ore si riempivano di straordinari eventi, una orgogliosa ed invidiata famiglia, ricca di personalità straripanti, originali e un po’ folli le cui energie solo lui sapeva gestire ed incanalare. Ricordo a tale proposito che, appena assunto andai da lui sconvolto, per chiedere provvedimenti verso un collega che aveva minacciato di piantarmi un coltello nella pancia, se avessi insistito nel chiedere una modifica tecnica a quanto da lui deliberato. Mi sembrava una cosa grave. Beggio mi guardò: “Abbi pazienza, è un po’ matto, ma è il migliore del mondo nel suo campo, per piacere cerca di andarci d’accordo”. Così feci, e devo dire che approfondita la conoscenza con il mio potenziale assassino questi si rivelò un collaboratore straordinario e poi anche un amico. 
Alla fine davamo l’anima per l’Aprilia e per Beggio, tutti quanti, e con questo spirito abbiamo costruito mezzi favolosi e fatto la storia: in molti anni come responsabile stampa non ho mai dovuto presentare una moto mediocre o poco sicura o tecnicamente inferiore alla migliore concorrenza.
Extrema, Sintesi, Futura, RS 250, SR, Scarabeo, Pegaso, Leonardo, Motò, RSV, Tuono, SXV… non è un caso se mai una azienda del settore era cresciuta così tanto in così poco tempo. Ed anche le corse non sarebbero state le stesse senza il fenomenale impegno di Aprilia, senza l’intuizione del suo Fondatore di utilizzarle come banco di prova per la costruzione di serie.
Personalmente ho avuto l’onore e il privilegio di frequentare l’Ingegnere Beggio anche dopo la sua uscita da Aprilia. Mi chiese di invitare a nome suo alcuni storici giornalisti che aveva frequentato quando era in Aprilia: per il settantesimo compleanno voleva infatti dare loro quel saluto che non si era sentito di fare nel 2004, ma aveva paura a chiamare direttamente, temeva di essere stato dimenticato. Lo andai a trovare ad Asolo e rivederlo dopo tanto tempo fu emozionante. Lo trovai immerso nella fontana di casa mentre giocava con i nipotini, una immagine bellissima, gioiosa, serena. Non seppi trattenermi dal dirgli scompostamente quanto gli ero riconoscente, anche a nome dei tanti colleghi che continuavo a frequentare, quanto tutti fossimo concordi nell’avere imparato tantissimo da lui e quanto orgogliosi ci sentivamo di avere percorso assieme un tratto di strada professionale e personale.
Sono felice di averlo convinto a condividere i suoi ricordi su Facebook, perché fu travolto da una ondata di affetto straordinaria, che lo commosse moltissimo. La sua pagina, che spero rimarrà per sempre in linea, è il migliore specchio dei sentimenti che ha saputo suscitare in collaboratori e clienti.
Nessuno l’aveva dimenticato.
Ho avuto occasione di parlare moltissimo con lui negli ultimi tempi, di tanti argomenti lavorativi ed umani, ripercorrendo la sua storia dagli albori, quando orfano di entrambi i genitori a soli 27 anni perseguì il suo sogno giovanile di costruire motociclette, fino ai giorni tristi in cui dovette lasciare la sua creatura.
Vorrei tanto essere uno scrittore migliore per raccontare la profondità, la spiritualità, l’umanità, l’amore che sapeva trasmettere. Scorro nella mia mente tutti i possibili aggettivi per chiudere questo ricordo: il più calzante, è molto semplice: Uomo. Ivano Beggio era un Uomo vero, onesto, corretto, coerente, uno di quelli che sei felice di avere conosciuto e frequentato e di cui serberai sempre nel cuore un commosso ed orgoglioso ricordo.

Claudio Pavanello

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