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Ivano Beggio, il ricordo di Loris Reggiani: “Un vincente come nessun altro"

Chi era Ivano Beggio? L’abbiamo chiesto a un campione che ha collaborato a lungo con il patron Aprilia, Loris Reggiani è il primo pilota della casa di Noale nel Motomondiale. Il romagnolo ci ha raccontato com’è iniziata l'avventura nel mondo delle corse, quali sono stati i momenti migliori e dell'ultima volta che ha incontrato Beggio
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Quando Beggio decise di fare quella pazzia
Ieri ad Asolo l'ultimo saluto a Ivano Beggio, fondatore carismatico di Aprilia, scomparso martedì scorso dopo una lunga malattia. Una vita vissuta per le moto, quelle di serie che conquistavano i mercati e i prototipi da gara che aiutavano a sviluppare le moto che poi arrivavano dai concessionari. Lo sport è sempre stato nel DNA Aprilia, un dogma voluto fortemente da Beggio in persona. Per capire com'era il rapporto del patron con le corse abbiamo intervistato il suo primo pilota del Motomondiale, Loris Reggiani che ci ha raccontato i retroscena dell’accordo che portò la casa di Noale nella 250 e ha ricordato i momenti migliori condivisi con Beggio.

Che rapporto avevate negli anni delle corse?
Era abbastanza amichevole, lui ha dato il via al progetto Aprilia nel Motomondiale. Ha accettato e ha messo i soldi che servivano, non poteva non esserci un rapporto di amicizia. Noi, io e Michele Verrini - che ha avuto l’idea iniziale - l’abbiamo aiutato a entrare in un mondo che per lui e Aprilia è stato molto importante. Ivano di conseguenza ci ha aiutato, io sopratutto ho potuto continuare una carriera che altrimenti si sarebbe interrotta in quel momento. È stato quindi un dare e avere paritetico, per molto tempo sono stato il loro unico pilota della velocità, quindi era normale e naturale avere un rapporto di rispetto reciproco. È chiaro poi che lui era anche un imprenditore importante, molto potente e molto fortunato, mi trattava un po’ come un dipendente. Il nostro non era un rapporto paritario, però l’ho sempre capito e non mi ha mai dato fastidio.

Come si può descrivere il personaggio Ivano Beggio?
Eh… Non saprei trovare una parola. Sicuramente è stato un genio, a livello imprenditoriale. Non dimentichiamoci che lui ha fondato Aprilia partendo da un’azienda di biciclette che gli aveva lasciato il padre. È diventato un leader nel mondo con la sua azienda, uno così non può essere altro che un genio. Di contro era capace di circondarsi di gente molto molto valida, alcuni suoi collaboratori erano altrettanti geni, uno su tutti è Maurizio Roman con cui ha dato il via all’Aprilia.

Hai qualche aneddoto da raccontare legato al mondo delle corse?
Ce ne sarebbero milioni! Il primo che mi viene in mente è proprio all’inizio della nostra storia. Io avevo passato un anno disastroso, era il 1984, avevo finito tutti i soldi che avevo in banca per poter correre ed era finita anche la fiducia di chi mi dava le moto, quindi avevo deciso di smettere di correre. Non avevo alternativa. Michele Verrini, che era un concessionario Aprilia di Firenze, uno dei più grossi d’Italia, ed era anche il mio mentore, si inventò due bozzetti di una moto verniciata con i colori e con il marchio Aprilia, e andò da Ivano per farglieli vedere. A Ivano ha chiesto poco meno di 100 milioni e tre motori ufficiali di Rotax, noi avremmo costruito la moto, che chiamammo Aprilia e iscrivemmo al mondiale. Era una pazzia, non ci avrebbe creduto nessuno che in tre o quattro mesi ci saremmo riusciti. Una pazzia che però lui, da mente illuminata quale era, condivise. Forse era più pazzo di noi! Disse subito sì. Io ero pessimista. Naturalmente pensavo: “Chi vuoi che creda a una cosa del genere?” Invece Michele è riuscito a convincerlo e lui era pronto ad accettare questa sfida. Mi ha sorpreso piacevolmente il suo “Sono d’accordo, facciamolo!” Mi ha fatto capire che nel mondo dell’imprenditoria c’erano anche personaggi coraggiosi, com’era lui e come eravamo noi.

Nel 1987 poi è arrivata la prima vittoria.
Sì, due anni dopo, a Misano. Naturalmente io e Beggio abbiamo pianto. È arrivata dopo un po’ di volte che ci stavamo girando intorno, una volta si fermava la moto, un’altra cadevo io, sembrava una chimera. Invece è arrivata e proprio a Misano, in Italia, è stato fantastico.

Che impronta aveva dato al reparto corse?
Lui era un perfezionista, voleva arrivare sempre più in alto. Non gli bastava arrivare secondo. Mi ricordo che all’inizio credeva nei risultati più di me. Con quel progetto, arrivare due volte sul podio il primo anno e chiudere il mondiale in sesta posizione, era già un successo inimmaginabile. A lui invece non bastava, voleva vincere. E io pensavo: “Ma per vincere bisogna battere i colossi giapponesi!” Loro spendevano miliardi, noi spendevamo decine di milioni, come puoi pensare… Invece lui diceva: “Noi siamo più forti di loro, anche se spendiamo meno dobbiamo vincere, non c’è dubbio”. Aveva una mentalità vincente che io non avevo mai visto in nessuno altro.

Qual è stata la soddisfazione più grande?
La vittoria di Misano, assolutamente. Anche se dopo sono arrivate stagioni migliori, perché quella stagione l’aveva chiusa in sesta posizione e invece sono arrivato anche secondo con l’Aprilia, ma non c’è storia. Quella prima vittoria e quella prima stagione è stata la più bella.

Quando è stata l’ultima volta che vi siete visti?
È stato a settembre dell’anno scorso, quando abbiamo festeggiato il 30esimo anniversario di quella vittoria. Abbiamo fatto una festa qui vicino a Forlì, abbiamo acceso nuovamente quella moto, e l’abbiamo invitato. È stata una bella festa, è stato molto emozionante rivedere tutte quelle persone che avevano lavorato così tanto e che ci avevano creduto così tanto.

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